Los seres humanos creamos culturas. Observamos, pensamos, imaginamos, obramos, comunicamos nuestras experiencias... Somos variados. Construimos nuestra "realidad". Fabricamos opiniones y maneras distintas de narrar nuestras vivencias. Este espacio expone estudios y trabajos del campo de la antropología del bienestar y la salud así como de la antropología de la naturaleza, sus componentes y sus leyes mostrando diversas concepciones y acciones que en esos terrenos se pueden dar y llevar a cabo en las culturas y sociedades del mundo.

Foto: "Águila peleando con serpiente". Tatuaje clásico del artista: Alvar Mena (La barbería tatuajes. Salamanca)

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SEGUNDA ETAPA

sábado, 5 de julio de 2014

"Esperienze" (de: "La limpia nelle medicine tradizionali mesoamericane",

Autores: Alfonso J. Aparicio Mena & Francesco Di Ludovico.
Fragmento del Libro: "La Limpia nelle medicine tradizionali mesoamericane"
http://www.aracneeditrice.it/aracneweb/index.php/pubblicazione.html?item=9788854872363
Editado por ARACNE EDITRICE, Italia.
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"Esperienze 

Riferiremo in questo capitolo varie esperienze di limpias fatte a Città del Messico e nello Stato messicano di Oaxaca, così come quelle che ognuno di noi autori ha avuto occasione di ricevere in altri posti e in momenti diversi. 

In primo luogo, la limpia nel temazcal è fatta all’esterno con incenso di copal e, tanto al suo interno quanto all’esterno (uscita), è realizzata con altri mezzi e procedimenti propri del bagno tradizionale. 

Il bagno temazcal è un lavacro terapeutico–rituale praticato sin dal-l’antichità in Mesoamerica per “purificare” e curare principalmente la donna in procinto di partorire; tuttavia, si usò anche per dare vigore ai partecipanti del “gioco della palla”[1], per detergere il corpo dei soldati dopo le battaglie e per sanare alcuni tipi di malati. Il suo nome deriva dal nahuatl[2] temazcalli, che significa “casa del vapore”. Sono, infatti, strutture di solito permanenti e a forma di cupola, costruite con pietre vulcaniche, le stesse pietre che, poste in un pozzo nella parte centrale della costruzione stessa, sono usate per produrre il calore (e il vapore, se asperse), riscaldate da un fuoco lì acceso. Le tipologie locali variano la ubicazione degli elementi interni. Esistono anche temazcales di forma cubica. I temazcales attuali, di ispirazione tradizionale, si offrono a tutta la popolazione per i loro benefìci psicofisici. 

La mia[3] esperienza del temazcal mi ha dato una conoscenza che mi è servita per capire più profondamente il senso generale della limpia. Esporrò qui di seguito le osservazioni realizzate in un bagno cerimoniale–terapeutico così come alcune opinioni degli assistenti[4]


Vari giorni dopo il mio primo incontro con Doña Norma (terapista di temazcal) partecipai ad un bagno rituale. Prima di passare all’in-terno dell’abitacolo, noi partecipanti ricevemmo un “lavaggio energetico” con incenso di copal, che costituiva una prima purificazione. All’interno l’oscurità era quasi totale. Soltanto un foro rotondo lasciava entrare un tenue fascio di luce, che attraversava tutto lo spazio. Faceva caldo e l’ambiente era gradevole. Ci sedemmo e ci appoggiammo alla parete. Chiudemmo gli occhi e incominciammo a respirare seguendo le istruzioni di Doña Norma, che iniziò a versare acqua aromatica sulle pietre calde. Poi chiuse la piccola finestra. Ci diede dei rami per sfregarci e percuoterci dolcemente tutto il corpo. Sensazione gradevole e rilassante. La officiante recitò alcune frasi a mo’ di orazione per aiutare la nostra purificazione. Nelle frasi (frequentemente, nelle culture precolombiane, le levatrici azteche recitavano litanie morali sul significato del mondo agli appena nati[5]) si esprimeva il desiderio di arrivare a conseguire la purificazione e la cura dei partecipi. Respiravamo profondamente ogni volta che ci colpivamo con i rami. Il calore cominciava a poco a poco a divenire più intenso e il vapore più denso. L’ambiente risultava gradevole. Dopodiché fu la volta di canzoni e ulteriori preghiere recitate da Doña Norma. Bevemmo infusi vegetali per idratarci e continuammo con le limpias, in tal caso fatte da parte del terapeuta. In seguito gettammo i rami sul fuoco, allo scopo di eliminare le nostre impurità e i mali a noi adesi. Dopo circa quarantacinque minuti cominciammo ad uscire, ognuno in tempi diversi. Passammo in una stanza in cui ci sdraiammo (sopra a delle stuoie) avvolti in teli. In questo spazio intermedio di recupero termico rimanemmo mezz’ora fino a che il nostro corpo si conformò all’ambiente naturale. Nello stesso tempo, c’erano incensi accesi ed effluvi gradevoli cosparsi nell’ambiente. In generale, i partecipanti mi dissero che l’esperienza era stata di loro gradimento. Provavano una sensazione di purezza interiore ed esteriore, benessere e relax. Maria, una delle partecipanti, diede importanza specialmente al silenzio, un silenzio molto “comunicativo”, come se avvertisse di sentirsi empaticamente vicina a coloro che stavano nel recinto. Secondo lei, nel temazcal c’è qualcosa di spirituale che lo differenzia totalmente da un bagno di vapore normale come, ad esempio, quello di una palestra. Siccome non si sentiva malata prima di andarci, ella non percepì cambiamenti a livello di salute, tuttavia avvertì una sensazione di pace interiore e di leggerezza. Per Boris, un altro dei partecipanti, un ragazzino di tredici anni, fu un’esperienza sorprendente e insolita. Diede importanza all’attitudine del terapista, che si prese garbatamente cura di lui avvicinandoglisi e invitandolo ad esternare i problemi che lo preoccupavano. Racconta che quindi l’ha fatto, e ciò lo ha fatto sfogare e sentire rilassato.

In altre epoche, il temazcal aiutava le donne a star meglio dopo il parto. Il simbolo tradizionale di recupero a seguito della liberazione da problemi e blocchi fisico–emotivi conferisce al temazcal la principale valenza terapeutica. Nella cultura popolare mesoamericana della salute il temazcal occupò sempre il posto più importante. Alla finalità igienica univa quelle spirituale e simbolica. Gettate le inutili zavorre (“acqua sporca” attraverso la traspirazione, i blocchi emotivi, ecc.), le persone si rinnovavano, rinascevano, diventavano “pulite” (libere dalla impronta mortale). Un qualcosa moriva e un qualcosa nasceva. Tale purificazione serviva per le omissioni, le mancanze, i peccati in generale: pertanto il temazcal aiutava ad alleggerire il peso della coscienza.

Il temazcal costituisce un elemento della cultura tradizionale mesoamericana della salute più genuino e importante, secondo noi. È anche l’elemento più intimamente correlato ai contenuti tradizionali antichi. Possiede anche connotazioni sessuali–simboliche. La cura intesa come rinnovamento implica una morte e una rinascita. Il fuoco reale e il fuoco simbolico eliminano ciò che è vecchio, consumato, ciò che è sporco, ciò che non ha valore per la persona (intesa come unità formata da elementi greggi come il corpo e da altri sottili come l’anima o le “anime”). Nella beuta universale che rappresenta l’utero microcosmico del temazcal rinasce una nuova persona. Tale immagine è una delle più antiche che si siano conservate nelle culture mesoamericane. Utilizzata tanto per gli dèi quanto per gli uomini presso gli Aztechi e altre popolazioni, mostrava la necessità di morire per poter nascere, scopo che si raggiungeva in modi diversi e attraverso molteplici procedimenti. Mircea Eliade espone la possibilità di morte e di distruzione simbolica del corpo del futuro sciamano in Siberia e la sua ricomposizione successiva, nel processo di iniziazione[6]. La forma architettonica stessa dell’edificio del temazcal ricalca quella di una caverna, tanto che potremmo dire che esso sia una specie di “grotta artificiale”. Ricordiamo che le grotte, nella cosmovisione amerindiana, hanno il valore simbolico di ventre materno, di luogo in cui come adulti si può rinascere, dato che vi si concentrerebbero le energie rinnovatrici, forse a causa dell’amplificazione di quelle che escono dalla terra e di quelle che scendono dal cielo e che lì rimarrebbero “imprigionate”. È anche per questo che alcune esclusive riunioni religiose si tenevano lì; e quando era usato come ambiente per curare, il temazcal ampliava emblematicamente il fine curativo del complesso acqua–fuoco–erbe–preghiere.

La terra, il fuoco e l’acqua, come elementi della natura sono presenti in un ambiente in cui il movimento del vapore, la circolazione interna dell’“aria” e lo sprigionamento di aromi completano il microcosmo basilare insieme all’elemento vegetale rappresentato dalle piante usate, che fungono da intermediarie tra l’Uomo e la Natura. Tutte queste caratteristiche continuano ad essere prese in considerazione ancor oggi. Il temazcal, dunque, essenziale nelle tradizioni amerindiane mesoamericane ed esistente con adattamenti locali nelle tradizioni di alcune etnie nordamericane, è un elemento proveniente dall’antica cultura che presuppone la relazione con la vita (“morte e rinascita”), il cambio, l’àmbito materiale (grande natura e natura umana) e l’àmbito spirituale (superiore e inferiore) nel contesto dell’equilibrio. Il concetto di confluenza di elementi in un microcosmo che mette in relazione l’àmbito umano con la madre natura (corporea e spirituale) avvicina la cultura indigena mesoamericana alle culture tradizionali antiche della Cina e della Corea, in cui si ritiene che la vita sorga e si riequilibra permanentemente intorno alla relazione armoniosa tra fuoco, terra, metallo, acqua e legno–vento (tutti intesi in senso lato e simbolico) tanto nel macrocosmo quanto nei vari microcosmi o microsistemi vitali della natura. Nelle medicine tradizionali dei popoli mesoamericani, e nella medicina tradizionale cinese, lo squilibrio deficit/eccesso (o Yin/Yang), che rappresenta la cosiddetta «malattia», si compensa armonizzando i microsistemi o microcosmi con l’àmbito della realtà ampia. Il temazcal espleta tale funzione, secondo Doña Norma, poiché è una delle parti chiave della salute e della cura delle antiche culture mesoamericane e amerindiane.

In secondo luogo parlerò[7] di limpias che ho visto fare a Città del Messico, nel Mercato di Sonora, con rami di pirul, basilico e rosmarino. Il procedimento tipico consiste nel passare i rami intorno al corpo, sfiorandolo mentre si pronunciano specifiche frasi. Poi questi rami si devono bruciare o distruggere. Nel Mercato di Sonora c’è una grande varietà di praticanti di limpia giacché essa può essere intesa dall’àmbi-to fisico o fisico–energetico fino a quello religioso sincretico. In tale ventaglio di possibilità una persona può “ripulirsi” dai problemi che lo affliggono a livello emotivo o da questioni di carattere superstizioso e dall’“oltre”. Si possono fare limpias ad animali domestici e anche alle abitazioni.

In terzo luogo, la limpia che ho visto realizzare a Puerto Escondido, con fumo di cera squagliata insieme ad un’acqua speciale soffiata sopra e intorno alla persona da “ripulire”. Don Isaías, guaritore che, a sua detta, svolge un’attività diversa da quella degli sciamani e dei medici tradizionali appartiene ai Trinitari Spiritualisti Mariani, un gruppo basato su un cristianesimo rivisitato in ottica autoctona. Lo potremmo includere nel settore dei professionisti e praticanti esperti in cura tradizionale, in questo caso mista, però distinta da quella della cosiddetta «tradizione post–Conquista» (urbana)[8]. Ho parlato con lui su aspetti concreti di salute e di benessere e sulle interpretazioni degli stessi. Lascio qui di seguito alcune righe di quanto egli mi ha riferito:

– (Domanda) Mi parli del Suo modo di lavorare e di curare.

– (Risposta) Bene; allora: innanzitutto, noi non siamo curanderos.

Si riferisce a se stesso e ai due fratelli che dirigono un centro per il progresso spirituale. Don Isaías si dedica più ai problemi del corpo e delle emozioni, oltre ad essere l’incaricato di fare la cernita delle persone che possono entrare nel centro da quelle che è meglio che vadano dai suoi fratelli. Non ebbe alcun problema a parlare con me. Dice di fare dei sogni tramite i quali egli riceve informazione, per esempio su chi sta per arrivare e perché eccetera. Mi confessò di sapere che qualcuno stava per mettersi in contatto con lui per intervistarlo. Mi disse che aveva sognato che lo portavano a fare un giro in motocicletta. Spiegò che tale immagine significa trasmissione di idee, di conoscenze, di informazione, conversazione. «Noi siamo Spiritualisti. Pratichiamo una dottrina spiritualista trinitaria e mariana. Questo non è una religione, né tanto meno si tratta di un’analisi che pratichiamo ad una persona. Tutto ciò che facciamo parte da messaggi spirituali che riceviamo dagli Spiriti superiori. Per questo si chiama «dottrina spiritualista». È trinitaria perché tutto quello che noi realizziamo lo facciamo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo; ed è mariana perché crediamo nella purezza di Maria, madre di Gesù».

– (Domanda) E questi Spiriti chi sono?

– (Risposta) Spiriti celesti che già stanno nel potere di Dio.

– (Domanda) Quindi non esiste una relazione con le antiche tradizioni delle culture chatina e mixteca?

– (Risposta) No; quello che noi pratichiamo è la concentrazione mentale. Una persona che viene a prepararsi a livello spirituale non studierà libri né ricercherà ciò che fanno gli altri: quello che farà sarà imparare la meditazione per poter poi passare alla concentrazione. Questo è ciò che facciamo quando andiamo a curare le persone. Una persona che è già preparata (noi la chiamiamo “Facoltà”) è colei che si concentra e viene catturata dall’essenza di uno Spirito, il quale è lui che andrà a dire alle persone come si dovranno curare, per quanti giorni, ciò che dovranno prendere, il motivo per cui stanno così.

– (Domanda) Cioè la persona non ha bisogno che le si dica quale è il suo male. Saprà lei stessa ciò che ha.

– (Risposta) Esatto; infatti secondo la Opera Spirituale niente rimane ignoto. Quando [la “Facoltà”] è concentrata e arriva qualcuno al suo cospetto, ella vede ciò che il paziente ha dietro di sé [vale a dire il suo vissuto, N.d.A.], ciò che gli è successo e perché. Lo sta vedendo attraverso la concentrazione mentale.

– (Domanda) Voi siete nati con questo potere o lo avete sviluppato per tradizione familiare? Qualsiasi persona potrebbe fare questo lavoro o soltanto determinate persone? 

– (Risposta) È praticamente la regola il fatto che ogni essere umano possieda un dono che Dio gli dà prima che egli nasca. Questo dono lo riceviamo tre mesi dopo il concepimento. È una luce spirituale [per] diverse missioni che ognuno porta avanti, [ma ognuno di noi] ha bisogno di aiuto per svilupparlo. Noi siamo questo Tempio Spirituale.

Continua spiegando che la sua missione è di aiutare le persone affinché sviluppino il dono che possiedono per fare del bene e combattere il male. «Ci sono molte persone che arrivano malate. Non sono malati naturali: ciò [di cui soffrono] sono danni che sono stati arrecati loro tramite la magia. Esistono sette classi di magia. Attraverso di essa possono arrecarti danno con [il pronunciare, maledicendolo,] il tuo nome, con qualche tuo oggetto, un vestito; semplicemente con [il pronunciare, maledicendoli,] il tuo nome e cognome. Ci sono molte forme che si possono utilizzare per fare questo tipo di lavori. Noi li chiamiamo “lavori oscuri”. Chi li fa sembra simile agli Spiritualisti, però sono spiritisti. Noi non aiutiamo nessuno a vendicarsi. Non c’è motivo di vendicarsi. Non siamo noi [esseri umani] a farci giustizia. L’unico che deve giudicare le persone è Dio».

– (Domanda) E in tutto questo modo di pensare, come sono intesi la salute e il benessere?

– (Risposta) Beh, semplicemente, per trovare la salute c’è innanzitutto da chiederlo a Dio, che è l’unico che la dona.

– (Domanda) Come?

– (Risposta) Quando tu giungi [qui] malato (ti senti male, ti senti disperato, hai un dolore…), andrai a farti fare la visita (la visita spirituale). E [quindi] è il bambino di luce [entità spirituale, N.d.A.] colui che ti dirà ciò che devi fare.

Mi spiega in che cosa consiste lo “sdoppiamento”. Dice che quando qualcuno (la “Facoltà”) si concentra e riesce ad uscire dal corpo (il suo spirito), allora un altro spirito superiore occupa il suo posto e parla con coloro che sono lì riuniti attraverso quello che costoro chiamano “Facoltà”. Aggiunge che le persone che desiderano aiuto possono riceverlo anche attraverso le preghiere, col sostegno di candele e lucernieri accesi. Gli domando se si osservano fenomeni straordinari in occasione di tale tipo di pratiche. Mi risponde che si vedono cose con gli occhi chiusi, con gli occhi dell’anima. Tutto succede nel mondo spirituale per mezzo della concentrazione; poi si ripercuote nel mondo materiale. Parla delle “operazioni spirituali”, che possono essere richieste, volendo, da tutti coloro che sono malati tramite un semplice rituale e buona volontà. Mi spiega la relazione tra possibilità di cura (nella società) e disponibilità economica[9]. Parla del cancro, sottolineando l’alto costo che implica un intervento chirurgico e che se non hai soldi puoi anche morire. Per questi casi raccomanda l’“operazione spirituale”, il cui costo è minimo e non dà assolutamente alcun rischio, poiché tutto accade nel piano non materiale della persona malata benché si influisca sul suo corpo. Insiste sul fatto che la più importante e la migliore medicina è l’amore.

– (Domanda) E per ricevere questo tipo di operazioni c’è bisogno di un’alimentazione speciale o di un aiuto da parte degli esseri spirituali?

– (Risposta) Sì, certo. Deve riguardarsi, riposarsi, non camminare né lavorare né alzare pesi né uscire al sole, per cinque giorni e cinque notti; e bere una tisana chiamata “árnica[10] y hierba santa[11]”. È tutto.

A proposito dell’alimentazione da seguire, Don Isaías consiglia di consumare frutta e verdura, e non prodotti imbottigliati né birra o bevande alcoliche né fumare sigarette. «Sono tutte cose che alla fine danneggiano la salute», ribadisce.

Secondo lui, ogni persona che riceve il dono della conoscenza può agire in modo da arrecare deliberatamente danno oppure fare del bene. Ritiene che siamo composti di due energie, che egli chiama “positiva” e “negativa”. Per Don Isaías, lo stato di salute è un equilibrio ma sempre quando lo si attua per il bene, poiché il male è sempre in opera e bisogna contrastarlo, correggerlo[12]. Secondo Don Isaías la malattia a volte è la causa del fatto che ridestiamo la nostra coscienza e ci “svegliamo”. «Dobbiamo comunque imparare», dice. Chica Casasola esprime questa idea nel proprio articolo sui chijota chijne (etnomedici mazatechi)[13]. Don Isaías dice che il male ha molte facce e manifestazioni, come il bene. Dice che nessuno è cattivo: solamente sceglie un brutto cammino. Secondo lui, il male non progredirà mai del tutto, poiché sempre ci sarà un freno che lo bloccherà. «Per questo motivo noi stiamo qui», mi disse, «per contrastare le energie negative ed evitare che prosperi il male; in modo che il male non si impadronisca del mondo, della gente e delle cose». Crede che gli esseri maligni sono molto intelligenti e svegli, e dice: «utilizzano mezzi vari e improvvisi. Per esempio, una volta al centro arrivò un uomo invalido e sembrava una buona persona; però quando una delle “Facoltà” stava ricevendo il messaggio spirituale, egli provò ad aggredirla con le proprie stampelle. Lo si dovette tener fermo; cadde sul pavimento, si rotolò e gli uscì schiuma dalla bocca. Poi, una volta calmato, non si ricordava di niente. Si pulì. Era un uomo semplice ma posseduto dal male. È per questo che stiamo sempre all’erta. Non sappiamo chi può provare ad aggredirci, benché ogni giorno, sia attraverso i sogni sia per mezzo della “Facoltà”, siamo informati su possibili arrivi pericolosi. Più il bene è potente e più pericoloso è il male che lo insidia. Noi ci siamo abituati».

Secondo gli Huicholes, il mondo si mantiene in equilibrio grazie allo sforzo che essi stessi compiono a tale scopo. Tra le loro missioni fondamentali c’è quella di evitare la distruzione del mondo. Qui vediamo di nuovo ciò che è detto da parte dei Chatinos, cioè questa idea ancestrale, questo stare permanentemente all’erta, mediando tra il naturale e il soprannaturale per evitare che la bilancia perda il proprio equilibrio. Don Isaías ribadisce che l’amore è la più grande forza per lottare contro il male e per mantenere l’armonia del mondo e della vita.

Mi invitò a presenziare il trattamento del susto secondo la visione dei Trinitari Spiritualisti. La paziente era una donna sui trent’anni, e mi accordò il permesso di assistere. Aveva fatto ricorso al guaritore poiché si sentiva male: aveva un malessere indefinito che si ripercuoteva sulla propria vita personale, lavorativa e sociale. Per i sanatori del luogo si trattava di susto o di sustos successivi. Le guide spirituali, attraverso la “Facoltà”, consigliarono un trattamento di nove[14] giorni con altrettante sedute di cura. Una di queste fu quella a cui partecipai.

Era mezzogiorno. La luminosità dell’estate del Pacifico è penetrante e abbagliante. Circondati da piante di mais, entrammo in una stanza in penombra con il fine di evitare il sole e di stemperare il calore. La signora si accomodò su una sedia e Don Isaías cominciò a leggere testi e frasi usati da parte sua per curare il susto. A debita distanza, osservavo come si stava svolgendo il procedimento di cura. Il terapista scaldò e sciolse della cera in tre recipienti. Cominciò a sfregare ognuno attorno alla donna, facendo determinati movimenti. Usò il vapore della cera calda come incensiere. Nel frattempo, il guaritore spirituale recitava orazioni e frasi chiedendo la guarigione della donna malata. Quando concluse la pratica con i tre recipienti, soffiò sopra la donna un’acqua speciale[15]. Formò varie croci soffiando (limpia esterna); e diede da bere un po’ d’acqua curativa (limpia interna). Attraverso il fumo–vapore della cera, e attraverso l’acqua soffiata e bevuta si procede a purificare energeticamente la persona (esternamente e interiormente). Ripetute le orazioni e le richieste per la donna malata, la sessione si ritenne terminata. Terapista e cliente si scambiarono alcune parole. Egli le diede consigli sullo stile di vita, su un’alimentazione sana e sull’esercizio fisico; e la donna sorrise compiaciuta. Mi avvicinai a lei e le chiesi come si sentiva. Mi rispose sorridente dicendo che si sentiva davvero bene e pienamente serena. Nella sala c’era un’altra donna, un’alunna di Don Isaías che aspirava ad essere una “Facoltà”. Le due donne si misero a parlare e il terapista mi indicò i depositi della cera già raffreddata. Nelle tre forme solidificate si notavano delle prominenze. In una vidi chiaramente la figura della parte superiore di una persona. Un’altra delle forme era un insieme di linee spezzate. Il terzo disegno consisteva in linee ondulate. Secondo Don Isaías, riflettevano le cause dei sustos. Mi spiegò: «All’inizio si è impaurita di una persona, come puoi vedere lì. Poi si è impaurita per un temporale; lì sta il fulmine —si riferiva alla linea spezzata—, lo vedi? Si è impaurita anche del mare; guarda l’onda —indicò il rilievo con le linee ondulate.» La donna in questione era molto pavida, secondo Don Isaías. Quello dei nove giorni[16] di trattamento era cosa delle entità spirituali. Essi indicano sempre come bisogna trattare i malati. La sessione durò circa un’ora. Prima che io me ne andassi, Don Isaías mi invitò ad entrare nel suo centro; lo feci e potei rendermi conto di stare in un luogo semplice e umile, pulito, ben illuminato e finemente abbellito, con un altare e dei fiori il cui profumo, mescolato a quello dell’incenso, impregnava tutta la stanza. I fasci di luce provenienti dalle finestre rendevano visibile il fumo del copal che contrastava, seppur leggerissimamente, con il candore immacolato delle pareti. Entrai scalzo, per non introdurre impurità, obbedendo alle regole. Con il fine di purificarmi mi aspersero con l’acqua speciale, me ne diedero da bere e me ne misero un po’ sulle mani in modo che io me la frizionassi addosso.

Nel discorso di Don Isaías si amalgamavano elementi del cristianesimo (credenza nella Vergine Maria, orazioni e suppliche a Dio, a Gesù Cristo, ai santi, ecc.), delle tradizioni caraibiche, africane e meticce (come la presenza di medium), così come della cura popolare portata dagli spagnoli in America (alcuni passaggi rituali, erbe) in occasione della Conquista; accanto ad apporti peculiari delle tradizioni chatina e mixteca (tendenza a riequilibrare le disarmonie del mondo naturale in rapporto al soprannaturale, malattie tradizionali come il susto, metodi curativi costituiti dalla limpia, ecc.). Egli e i suoi fratelli trinitari si differenziano dai praticanti della tradizione urbana post–Conquista poiché non si definiscono curanderos e poiché si rapportano con l’am-biente naturale in una maniera più intima. La loro idea di salute si associa a quella di progresso spirituale. La malattia, secondo loro, è la manifestazione fisica, psichica ed emotiva dell’allontanamento dal cammino che si dovrebbe percorrere.

In quarto luogo, la limpia realizzata da Don Erasto[17] con la pianta chiamata “chichicatle” (o “chichicastle”) dalle foglie grandi e urticanti. L. I. Zamorra e M. P. Barquín fanno riferimento a tale pianta nel loro studio etnobotanico: botanicamente come Urtica dioica[18], e comunemente come “ortica de la buena”, “ortica ancha” o “chiquicastle”[19]. Usata tradizionalmente per calmare il nervosismo battendola sul cavo popliteo, altri suoi usi sono: problemi di circolazione emolinfatica, reumatismi, regolazione della pressione sanguinea e per fare limpias. Il procedimento di Don Erasto, previo contatto attraverso determinate frasi con le Entità del cielo e della Madre Terra, consiste nel colpire dolcemente il corpo con la lamina inferiore della grande e irritante foglia, causando una reazione di arrossamento e piccole vescicole che però spariscono dopo alcuni minuti. Questa limpia è molto potente e produce importanti effetti fisiologici, che ho apprezzato quando mi sottoposi ad una sessione del terapeuta zapoteco[20]. Diciamo, dal punto di vista biologico, che le sostanze fitochimiche (acidi e altri composti) sono avvertiti da parte dell’organismo come agenti aggressivi che pertanto provocherebbero la reazione “antitossica” del fegato e di componenti del sistema immunitario topico (cutaneo) preposti a bloccare tali sostanze per impedirne l’entrata nel torrente sanguineo. Avendo chiaro questo e il fatto che esiste il pericolo potenziale per determinate persone che non dovrebbero farlo, la limpia che ricevetti fu delicata se confrontata con quella che Don Erasto dà abitualmente. La mia esperienza con tali molecole naturali proviene dall’infanzia, pertanto il mio organismo non soltanto non si vede danneggiato ma, anzi, la reazione provocata dal contatto mi risulta altamente benefica[21]. Ognuno dovrebbe sempre conosce le proprie possibilità prima di compiere azioni determinate o sconosciute. Non si devono fare le cose che vediamo soltanto perché si è sentito che sono valide. Non siamo indigeni mesoamericani, in questo caso. Non siamo fatti come le persone di quei luoghi. Dobbiamo operare con prudenza e intelligenza, rispettando ciò che ci raccontano e ci insegnano, avendo comunque chiara l’idea se possiamo essere o no soggetti all’applicazione di tali procedimenti. Nonostante ciò, ebbi una reazione forte sulle braccia, di intensità e di durata molto maggiori di quelle che mi avevano prodotto e mi producono le ortiche della mia terra (Castilla y León). Dal punto di vista del nostro studio, il fatto più interessante fu quello di apprezzare la pratica curativa tradizionale come un lavoro integrato, che aiutava tutti i livelli della persona, non soltanto quello fisico. Il terapeuta tradizionale esercitò il proprio lavoro sul mio corpo con la pianta, ma lo fece anche sulle mie altre componenti (non fisiche) grazie alle proprie invocazioni e frasi rituali. La finalità era cercare di migliorare la mia circolazione e facilitare il mio adattamento ad un ambiente diverso; nonché di togliermi l’aire e pregare per il mio benessere integrale come persona.

In ultimo, tre limpias fatte da parte di sciamani dell’area chatina e chatino–mixteca. Due di queste sono quelle che vidi quando fui la seconda volta nello Stato messicano di Oaxaca; e la terza, l’ultimo anno. Le tre limpias mi furono realizzate con erbe, uovo e mescal[22].

Accompagnato da Don Fredy Zárate[23] in una mattina calda e luminosa dell’estate del 2005, arrivammo a casa di Doña Petra, che ci stava aspettando. Ci ricevette nel porticato dell’abitazione, un luogo ombreggiato e fresco grazie alla vicinanza delle piante del suo giardino. Parlammo molto di medicina tradizionale, usanze chatinos, sciamanesimo del luogo, piante e funghi. Mentre mi raccontava le sue esperienze, le chiesi se poteva farmi una limpia. Mi disse di sì. Quindi passammo in una stanza in penombra dove c’era un tavolo sopra il quale poggiava il necessario per l’“operazione”: bicchieri d’acqua, uova, mescal. Mi ordinò di togliermi la camicia e pronunciò una preghiera: «Santissimo sacramento, Padre eterno e Santissima Vergine, fate la vostra benedizione e che venga fuori tutta la malattia». Usò un’erba del suo orto chiamata “floripondio”[24]. Ne tagliò sette[25] foglie e le asperse col mescal. Poi mi disse che doveva parlare e chiedere loro aiuto: «Fogliolina, che meraviglia [di compito] ti ha dato Iddio; stai per diventare un rimedio. Ti userò per guarire. Soltanto questo ti dico». La curandera prese a sfregarmele, strofinandomi la pelle. La guaritrice spiegò che chi mette in pratica una limpia percepisce, avverte il male che sta spazzando via («io poi sento, sento un dolorino, mi si attacca»). Dopo avermi “ripulito” con la pianta, fece lo stesso tramite un uovo precedentemente irrorato di mescal, pronunciando «Nel nome di Dio e della Santissima Maria, col meraviglioso compito che ti ha dato Iddio, tira fuori tutta la malattia. Padre eterno e Vergine Santissima, guariscilo». Dopo avermelo passato varie volte attorno al corpo e alla testa, lo ruppe in un bicchiere d’acqua. Poi prese un altro uovo e, dopo preghiere e aspersioni con mescal, me lo ripassò come aveva fatto con quello precedente. Compiuto l’atto, procedette alla “lettura” delle uova. Il primo uovo era rovinato: tuorlo e albume disgregati e disfatti. Il secondo uovo sembrava integro, presentava solo un’area grigiastra sulla superficie dell’albume. La curandera mi spiegò che con il primo uovo era uscita tutta la malattia. Non si trattava di un male fisico giacché il tuorlo rimaneva nel fondo. Si trattava di aire, cioè “sguardi” della gente con differenti pensieri (buoni e cattivi). Notava anche stanchezza e troppo lavoro. «Le ha soffiato forte l’‘aria’, vede?», mi disse. Disfece il tuorlo. Il secondo uovo va bene. «Con questo [uovo] Lei s’è già purificato», aggiunse. Volli sapere come ella avesse conseguito le conoscenze per “leggere” le uova nell’acqua. Mi rispose che fu grazie a sua madre e all’esperienza. Per la protezione contro malocchio e aire mi raccomandò di portare con me un sacchettino contenente un aglio, un peperoncino e un rametto di basilico. Doña Petra usa anche l’uovo come mezzo di prognosi, per dare un’occhiata alla malattia e alla persona malata, possibilità di cura, azioni terapeutiche da seguire eccetera. «Le raccomando che eviti l’aire», mi disse. La guaritrice stessa aveva i propri rami di erbe protettrici dentro la veste. Finito il lavoro, si sfregò bene mani e braccia con alcol per disperdersi di dosso l’energia negativa attaccata.

Racconterò[26] ora la mia esperienza. Mi invitarono ad un bagno temazcal. Non fu mio proposito andarci, dato che a quel tempo non conoscevo, nemmeno in teoria, cosa fosse un temazcal o una limpia. Stavo partecipando ad un congresso di etnomedicina a Città del Messico con il mio autoctono amico odontoiatra Jorge Armando. Egli mi disse soltanto: «Domani andiamo alla gita programmata da alcuni organizzatori del congresso, andiamo ad un temazcal. Ho già prenotato il tuo posto; sei invitato». Ascoltai per la prima volta la parola “temazcal”. Non sapevo di cosa si trattasse. Mi dissi: “Dai, andiamo!”. Ringraziandolo, chiesi a Jorge: «Cos’è un temazcal?». «Domani vedrai», mi rispose con il sorriso contento e affettuoso di chi è consapevole di sapere qualcosa in più del suo interlocutore sperando che presto anche costui lo conosca. L’indomani mattino noi partecipanti ci riunimmo e con l’autobus ci allontanammo da Città del Messico, lasciandoci rapidamente (nonostante il traffico) alle spalle i suoi ultimi quartieri. Arrivammo ad un luogo vicino alla città, alla cima di una collina. Poche case lì intorno non ci facevano sentire troppo lontani da un’altra, benché presumibile, presenza umana; alcuni cani randagi abbaiavano in lontananza come per avvertire che quello che calpestavamo era il loro territorio; e un vento tiepido di gradevoli folate ci faceva ricordare che anche l’aria e il silenzio possono avere le loro parole. Ci aprirono il portone, che chiuso non lasciava scorgere ciò che c’era dietro. Alcuni giovani sorridenti ci diedero il benvenuto. Vestiti in stile azteco, ci spiegarono ciò che ci aspettava. Ci dissero che avremmo fatto un bagno di vapore in una specie di grotta artificiale realizzata con pietre vulcaniche, dopo che però avessimo chiesto l’aiuto agli dèi affinché il nostro “spirito” divenisse maggiormente ricettivo alla purificazione. Parzialmente spogliati, nel giardino dal fresco e ben tosato prato, cominciammo a cantare e danzare, pregare e chiedere aiuto al dio del Sole (la mia invocazione fu in realtà egoistica: consistette nella richiesta che non mi ustionassi, dato che ho la carnagione chiara; e ciò si avverò). Ci avvertirono che il bagno non era indicato per le persone che avevano infezioni o soffrivano di pressione arteriosa bassa né per le donne durante il ciclo mestruale o incinte. Noi che potemmo, entrammo nel temazcal. Uno per volta, lentamente, curvi attraverso il suo corto e basso vestibolo («una porticina che è come l’entrata dell’utero materno. Alla fine uscirete come se usciste dal ventre di vostra madre», ci disse una donna). Dentro: ampio spazio, gradevole oscurità, ci sedemmo in circolo dando le spalle alla sua parete rotonda e cupoliforme. In mezzo c’era un pozzetto circolare e uniforme, dove si stavano arroventando (erano quasi rossicce) alcune poche pietre porose e scure. Uno degli officianti ci invitava a continuare a pregare e chiedere a voce alta agli “dèi” i nostri desideri. Dissi di voler aiutare in una maniera più naturale e più profonda i pazienti con il mio lavoro di medico. Pian piano egli aumentava la quantità di pietre da riscaldare, e l’aria diventava pertanto sempre più torrida. L’officiante cominciò ad aspergerle con una infusione previamente preparata. Giovani uomini e donne, pregando a voce bassa, ci frizionavano uno con un olote (il torso della pannocchia del mais) le articolazioni delle braccia e delle gambe, e una donna ci strusciava il petto e la faccia con fasci di teneri rami: erbe odorose che frustavano dolcemente la nostra pelle madida, carezzevoli e umidi colpi dal ritmo irregolarmente cadenzato, foglie che trasudavano i propri oli balsamici, distillati di essenze vaghe ed arcane, aromi ancestrali e armoniosamente discordanti, profumi mai conosciuti e quindi alla sterile ricerca di ricordi da evocare. Sensazioni novizie, reminiscenze vuote e perciò potenzialmente gravide di qualsiasi fantasia; quasi potevo dare nuova nascita al mio spirito più intimo, i miei propositi potevano diventare reali; sospensione di tempo e di spazio, metempsicosi mentale… Il sudore aumentava, parallelamente alla sensazione di benessere e di tranquillità. Ci offrirono da ultimo un po’ di poltiglia terrosa, come se fosse una saponetta: un piccolo pezzo di fango di colore bruno–ocra («di terra presa qui, ben sotto il suolo», ci dissero) bagnato e arricchito con erbe aromatiche polverizzate, contenuto in un vaso di pietra lucida e nerastra. Da condividere, ognuno ne prese una giusta quantità, per passarselo sul corpo come per farci, squagliandosi sulla calda pelle gocciolante, una purificazione cutanea: di fatto ci dissero che il fine era puramente estetico (benché l’elemento “terra” mi sembrasse significativo, inserito in quest’àmbito dove era l’unico a mancare dopo la presenza di acqua, aria e fuoco). A nostro agio, sudati e infangati, felicemente stanchi, profumati e rilassati, uscimmo coprendoci bene. «Copritevi bene quando uscite; altrimenti avrete mal di testa. In realtà il mal di testa ve lo possono causare gli dèi qualora non vi distogliate da pensieri cattivi», ci dissero. Si era fatta sera, il sole era già tramontato. Ci lavammo rapidamente con acqua tiepida che ci veniva lanciata da alcuni officianti aspettandoci fuori. Dopo essermi lavato, mi coprì bene con un telo di cotone grande e spesso che emanava un lieve profumo di pulito. Mi sentii rianimato in questo morbido abbraccio tessile. Dopo alcuni minuti mi venne mal di testa: gli dèi mi avevano punito. Ci aspettava, sulla tavola imbandita, una tisana singolarmente opaca e scarlatta come le pietre che vedemmo nel temazcal e come il sangue che avrebbe nutrito, e una inaspettata cena a base di cioccolato e amaranto per recuperare le “energie perse”.

Ruth Gubler ritiene che il curandero, stando in contatto con la malattia, con l’essenza del male, diventa anch’egli esposto al pericolo poiché per il proprio benessere egli dipende dagli spiriti protettori[27]. I guaritori sono consapevoli del fatto che loro stessi rappresentano spesso il mezzo terapeutico per curare i malanni. In ogni caso, concependo il malato come parte di una realtà in cui anch’essi si trovano, il transito, la dinamica energetica costante, fanno (o possono fare) sì che i problemi che hanno di fronte si spostino su di loro o transitino attraverso di loro. Alcuni pensano che ciò che ricevono in realtà sono soltanto riflessi, immagini della malattia, “copie” senza potere di danneggiare. Altri, invece, possono arrivare a sentire i sintomi del paziente durante un periodo variabile. Nel primo caso, la percezione del male altrui dà all’esperto la possibilità di calibrare il livello di forza o di potenza della cura, adattandosi ad ogni persona secondo le caratteristiche del suo problema. Nel secondo caso, il male che sente il terapeuta non risulta della stessa natura di quello del suo paziente poiché le circostanze che provocano l’uno o l’altro sono diverse. Anche il medico può adeguare il lavoro curativo al suo cliente, e deve soltanto aspettare il tempo necessario affinché la stasi della dolenza altrui sparisca del tutto da se stesso. In ogni caso, nessuno dei professionisti della medicina tradizionale che ho conosciuto, e che conosco, ha paura. Personalmente, ho sperimentato in modo delicato tali sensazioni però non ho paura. Dicono che sono cose che succedono, in alcune persone più che in altre, ma che non presuppongono un rischio o un problema per il professionista. Etnomedici della tradizione mista (post–Conquista) in Messico, così come sanatori ed etnomedici naturisti e tradizionali europei mi hanno riferito qualcosa di simile: «Non ci sono contagi energetici nella pratica curativa, ma soltanto percezioni simili che ti fanno avvicinare al sofferente e ti permettono un maggiore avvicinamento comprensivo ai suoi problemi in tale circostanza». Secondo alcuni sciamani, l’utilizzo dell’uovo nella cura non è ben visto. Presuppone —secondo costoro— il fatto di avvicinarsi all’occulto e al tenebroso, scendere di livello e di categoria. La stessa Maria Sabina esercitò come curandera, ma ciò non la soddisfece. L’uso dell’uovo associato alla terra (interrato) lo facevano stare vicino alla povertà fisica (vermi) e perciò ella lo ha lasciato perdere[28]. Le culture tradizionali mesoamericane di salute si basano sull’equilibrio del duale. Il fatto di utilizzare uova nelle pratiche curative non va necessariamente associato —secondo me— ad attitudini e situazioni negative, sudice, oscure e dannose dei praticanti. Alcuni sono flessibili, cioè si adattano a ciò che il cliente richiede. Se chiede loro vendetta, essi si rendono operativi di conseguenza (fatto che implica il cagionar danno a terzi su richiesta); se chiede loro aiuto per curare un familiare, si danno da fare per conseguire il suo ristabilimento. C’è chi è specialista per congiurare e arrecare mali (nelle tradizioni preispaniche e in quella post–conquista). In ultimo ci sono i sanatori, generalmente etnomedici indigeni, che mai operano per far del male, mai sono mossi a scopo lucrativo o di vendetta. Tutti possono usare piante, uova, rituali simili. La differenza sta nella finalità e nella concezione che ognuno di essi ha di se stesso e del lavoro terapeutico. Ho conosciuto alcuni curanderos strani e ambigui, però la maggior parte degli sciamani ed etnomedici che ho osservato in Messico nello Stato di México, di Oaxaca e dintorni sono persone oneste, rette, professionali e praticanti esperte, interessate ai propri pazienti e che godono di prestigio nelle comunità cui appartengono. Credo che altri studi, aperti alle azioni e influenze di ogni tipo di curanderos, potrebbero apportare le prospettive di quanti si adoperano non proprio a favore della salute e del benessere. Forse Maria Sabina si riferiva, piuttosto che all’uso di elementi tradizionali concreti come l’uovo, ad attitudini specifiche di chi li usa, associando l’elemento al male professionale (eticamente parlando), cioè al cosiddetto «fattucchiere».

Il fatto di orientarsi all’uso delle piante nel momento di curare è frequente in molte tradizioni amerindiane. La pianta è scelta non a caso: è quella conosciuta da tempo per essere adibita a tale scopo. Possiede un’anima o è l’apparenza di un essere superiore della natura. Per questo motivo le si parla e le si chiede aiuto e intercessione. Maria Sabina parlava ai suoi funghi[29] prima di assumerli. «Prima di mangiarli parlai a loro e chiesi il favore… Il vostro sangue berrò. Il vostro cuore mangerò. Perché la mia coscienza è pura, è pulita come la vostra. Datemi la verità; che mi accompagnino San Pietro e San Paolo»[30].

La saggia mazateca ha seguito la linea e il cammino dello sciamanesimo ancestrale. Quando da questo si distaccarono pratiche adattate all’evoluzione e all’organizzazione complessa dei gruppi, ognuno di questi nuovi saperi conservò il fondo comune della matrice culturale antica e manifestazioni, tratti ed elementi espressivi delle antiche culture. Gli specialisti come Don Erasto parlano alle piante che costoro stanno per usare[31], parlano alla terra e ai luoghi, parlano al cielo, all’acqua, al vento e alla pioggia dove, come riferisce Marcia Trejo, dimora un universo di forze ed energie (benevole e dannose) visualizzata dall’antichità e trasmesse dalla tradizione[32].

Julieta Casimiro (mazateca dello Stato messicano di Oaxaca) spiega che nel libro di Carol Schaefer: «I funghi sacri sono “medicina” nella cultura mazateca. Si riveriscono come guide potenti e “medici” per gli acciacchi fisici, i disordini emotivi, le tensioni familiari e i favori che si richiedono attraverso le preghiere. Allo spargere la luce dell’intendimento sulla fonte interiore della tensione di una persona o su una sua malattia, aprono una strada affinché si renda possibile la cura e, in tal modo, equilibrano tutto il sistema sul piano fisico, emotivo, spirituale ed energetico»[33].

Anche Maria Alice Campos Freire (del Santo Daime, in Brasile) ha parole per spiegare il valore delle “piante sacre” nel loro contesto: «Il Santo Daime[34] come il Peyote[35] e le medicine di molti altri popoli indigeni in tutto il pianeta si utilizzano[36] unicamente con propositi spirituali e nell’àmbito delle cerimonie e dei rituali. Con questa medicina le persone hanno l’opportunità di vedere con chiarezza ciò che psicologicamente impedisce loro di essere chi sono davvero. La vita della comunità si vede chiaramente rafforzata dal loro uso, e si considera che i loro benefici globali siano davvero considerevoli. Inoltre non provoca dipendenza né alcun comportamento caratteristico associato all’abuso di droghe»[37].

Ritornando a Nopala e alle limpias, per costatare eventuali differenze, l’estate successiva andammo (Fredy ed io) da un’altra guaritrice che viveva in una vicina località in un’area mista chatino–mixteca. Era stata una raccoglitrice di funghi per molti anni, però già non esercitava come sciamana; almeno questo è ciò che ci disse. Conversammo a lungo con lei. Poi le chiedemmo che ci realizzasse una limpia e analizzammo le differenze dei risultati del lavoro con quello di Doña Petra. La nuova specialista non usò fumo né asperse l’uovo con il mescal. Lo sfregò con un liquido d’erbe e lo passò sul nostro corpo come fece Doña Petra, iniziando il lavoro in questa occasione con il segno della croce sulle nostre teste. I “bianchetti” (le uova) risultarono intatti, tanto nel caso del mio accompagnante quanto in quello mio. C’era soltanto una nube sopra l’albume del mio che di nuovo indicava aire. L’esperta mi fece alcune raccomandazioni personali, tra cui quella che io riposassi molto. Mi consigliò anche di proteggermi dagli sguardi. In quanto al corpo, non vide alcun problema. 

La tecnica della seconda guaritrice era diversa, apparentemente più informale. Si muoveva con maggiore scioltezza e con minore solennità della prima. Utilizzò soltanto l’uovo, senza piante. Fece il segno della croce sopra le nostre teste e sfregò l’uovo ripetutamente in forma lineare e in circoli sopra la testa, le tempie, il collo, le braccia, le spalle, il petto, l’addome e le gambe ritornando a ritroso alla testa dove insistette un po’ prima di terminare. Mettendo a confronto i due lavori, possiamo dire che i loro risultati sono corrispondenti. L’una e l’altra guaritrice dissero cose simili, indovinandoci nel mio caso e indovinandoci, secondo il signor Zárate, nel suo. Personalmente, mi sentì soddisfatto per ciò che mi dissero e per ciò che mi fecero. Nessuna di ognuna di queste due era a conoscenza della nostra visita fatta all’altra donna. Mi impressionai davvero. Tanto Fredy quanto me ci sentimmo confortati e rivitalizzati. Secondo me, il procedimento in entrambi i casi sorge dalla stessa tradizione o da tradizioni sorelle. Entrambe le guaritrici dimostrarono di conoscere bene il proprio lavoro, lo eseguirono con agilità, sincerità, onestà, grande esperienza, dimestichezza e con fenomenale occhio clinico. Inoltre, le loro attività non furono realizzate a scopo di lucro o per vantarsene. Costoro lavorarono in modo semplice e —direi io— routinaria, nell’àmbito della più assoluta naturalezza, perfino Doña Petra con il proprio rituale un po’ più cerimonioso. Non ci chiesero soldi né altro. Tuttavia, contribuimmo con una donazione. Alcuni sanatori mi hanno spiegato che il denaro è “energia” e deve circolare. Se qualcuno riceve un bene, si deve ricompensare o equilibrare con altro. Può essere denaro o può essere un’altra cosa (principio elementare del baratto). Le nostre terapeute si sentirono soddisfatte nell’aiutarci. Ciò che offrimmo lo accettarono di buon grado, ma senza dargli troppa importanza. Il valore, dal punto di vista antropologico è il modello di una tradizione, non come qualcosa di esotico, disconnesso dalla persona e dall’ambiente ma come qualcosa di vivo, dinamico, presente nella quotidianità di tali genti, una forma ancestrale, e attuale di venire incontro alle necessità delle persone di un gruppo, necessità che abbiamo qui incluso nell’àmbito della salute, ma che si dovrebbero piuttosto includere nell’àmbito del benessere in senso ampio (personale, familiare, sociale).

La ultima limpia la ricevetti da Doña Petra in occasione del nostro incontro nel 2006. Quell’estate sulla costa del Pacifico fu piena di piogge e tempeste, almeno durante il periodo in cui mi trovai lì. Era l’opposto delle estati precedenti, dolci e tranquille. Quando andai a far visita alla guaritrice, costei si presentò con la faccia gonfia per i terribili pizzichi delle zanzare che non mi avevano fatto dormire la notte precedente. Infatti, la notte era stata una battaglia contro questi rapidi e sfuggevoli insetti volanti; e finii coll’infastidirmi davvero. Chiaramente, la lotta la persi io; e mi fu pesante sopportare il lento avanzamento delle ore in quella quiete tropicale rotta soltanto dal costante ronzio delle zanzare. Mi sembrò eterno il passaggio dalla notte al giorno. Di fresca mattina, salii per la stradina di cemento che conduceva alla casetta ombreggiata di Doña Petra. Stare lì mi era gradito. La terapeuta tradizionale la trovai invecchiata e più stanca. Mi salutò con piacere, ricordando tutto ciò di cui avevamo discusso l’anno precedente. Mi confessò che già non curava più, che era malata e si sentiva debole. Accanto a lei sua figlia, una donna giovane, interveniva nella conversazione con smanie di protagonismo. Effettivamente, nella mansione di curare ella era l’erede di sua madre. Chiesi se tutti i guaritori di quel luogo lasciassero a qualcuno dei propri figli o familiari l’eredità delle conoscenze per proseguire la professione. Mi dissero di no, che càpita in pochissimi casi (come in quello di queste donne), e sempre meno. Volli sapere il motivo e mi risposero che a volte i discendenti non vogliono, inoltre càpita pure che la gente non nutra la stessa fiducia nella figlia o figlio del guaritore; e poi costa tempo farsi un nome. Bisogna dimostrare che si ha il dono di curare.

Volli sapere di più a proposito del susto e della limpia locale, o almeno di quella praticata da Doña Petra (o Petrona, come la chiamano sul posto). In questa occasione la guaritrice–sciamana mi parlò di tre tecniche per curare lo spavento. La prima, con l’“erba dello spavento”: «Si macina, si cola e si spruzza [il mescal]. Dopo di che, si ungono tre ovetti, ben benino, e si rompono. Da lì esce ciò che Lei ha. Poi si spazza bene la casa. Il malato si siede al centro della casa, dove questa forma una croce. Lì gli si ungono quattordici[38] ovetti o [altri] fino a che non ne esce più niente[39]. Dopo lo irrorano [con mescal]».

Il terzo procedimento di Doña Petra è proposto con un nido di uccellino. «In un tepazcate [recipiente di terracotta, N.d.A.] si mette della brace, un nido di uccellino, una fronda di palma benedetta e un gambo d’aglio. Quindi si chiama [il malato] per nome; per esempio, se il suo nome è Juan, si dice: “Vieni, Juan!” o “Dove sei, Juan?”. E, chiamato il malato, ci si gira verso di lui. Se il fuoco arde da solo, è già arrivato! Se non arde, torno a farlo ancora e ancora un’altra volta, finché esso arda e lo spirito ritorni».

Petra e sua figlia mi spiegarono che la persona (la sua anima persa) la si chiama per nome poiché, generalmente, gli “spaventati”[40] si impauriscono lontano per svariate ragioni (incidenti, timore, solitudine, trauma fisico, ecc.). Spesso nemmeno il malato stesso sa di essersi “spaventato”[41] e quando.

Tutte queste illustrazioni, spiegazioni e chiarimenti coincidono con quelli dati da parte di medici tradizionali e di conoscitori di altre tradizioni, mixes, zapoteche e miste studiate per la mia tesi. Il modo del “nido dell’uccellino” si usa per coloro che si sono spaventati molto lontano. Si reclama l’anima persa affinché faccia ritorno alla persona sua proprietaria. Coloro che si sono spaventati nelle vicinanze possono essere assistiti e curati con il procedimento dell’erba e dell’uovo. Quello delle quattordici uova serve anche per casi difficili. La signora Petra mi riferì che, una volta, uno dei suoi figli stava facendo il bagno nelle vicinanze allorché due tori si diressero correndo verso quel luogo. Petrona riuscì a farli deviare, però il ragazzino si impaurì e ciò gli causò un “calore”[42] costante. Lo trattarono con la tecnica delle quattordici uova, ed egli guarì. Per chi ha il susto e non lo sa, l’occhio clinico, le domande e l’analisi della situazione fatte da parte del guaritore determinano la scelta del procedimento. Il professionista sprona il malato preparandolo, spiegandogli ciò che gli farà e aiutandolo in ogni modo per essere curato. Chiesi cosa si fa nel caso dei bambini. Dato che costoro sono ignari di ciò che sta succedendo loro e non sanno spiegare bene ciò che sentono, chiesi come sono visti dal medico tradizionale e come fa costui per sapere quando sono malati di susto. Petra e sua figlia mi risposero che quando un bambino è impaurito piange continuamente, non dirige l’attenzione ad alcuna cosa, non assume cibo, non mangia leccornie, è triste, non beve. Lo si tratta poco a poco secondo come sta avanzando. Chiesi a Doña Petra che mi facesse una limpia un po’ più forte di quella che mi fece l’anno precedente dato che in quei giorni non mi sentivo bene, aggiungendo la notte orribile che avevo passato a lottare contro le zanzare. Ella mi disse che il luogo in cui stavo alloggiando era un posto di per sé “ben sporco”[43] (alle sponde del fiume). Mi raccomandò di cambiarlo. Si sorprese un po’ della mia richiesta improvvisa, ma provò compassione per la mia faccia gonfia. All’inizio non voleva occuparsi di me poiché ella non lavorava quasi più. Le sue figlie si stavano occupando dei casi che arrivavano a loro. Alla fine acconsentì. Mi spostai nell’abitazione in cui andai l’anno precedente, e Petra, concentrata e seria, procedette. Stavolta mi realizzò un trattamento un po’ diverso. Cominciò irrorandomi di mescal, insistendo sulla testa e sul petto. Alle frasi abituali sommò il passaggio di un uovo insistendo sul mio viso gonfio. Fece cadere l’uovo nell’acqua e me ne passò coscienziosamente un altro. Depositò il suo contenuto in un altro bicchiere e aspettò prima di emettere la sua diagnosi. Si lavò e guardò attentamente i due bicchieri. Nell’acqua, le due uova mostravano chiaramente il tuorlo avvolta in nubi ascendenti di albume che arrivavano fino alla superficie. Lì si poteva vedere anche un insieme di bolle. L’aspetto generale era torbido, non così buono come quello dell’anno precedente. La guaritrice tradizionale mi disse che avevo aire e che avevo contratto “muina”[44]. Secondo lei, ero “spaventato” per ciò che mi era capitato con le zanzare. Mi raccomandò di andarmene via quella notte o al mattino seguente se avessi continuato a sentirmi male e se la mia faccia rimaneva gonfia. Parlammo poco di più e poi me ne andai, poiché ella aveva clienti che la attendevano. Passai bene il giorno e, con i segni dei pizzichi sul viso, smisi di sentire il peso dell’infiammazione, la quale cessò. I miei malesseri gastrointestinali si corressero con una dieta adeguata: acqua di soda, succo di limone e sale. In generale, sentii una sensazione di frescura, sollievo e distensione, come le volte precedenti in cui ricevetti limpias. 

Esporremo adesso, di contro, un tipo di limpia non originaria delle tradizioni mesoamericane, bensì appartenente alla “moderna arte curativa” dell’era attuale e sviluppata nel contesto occidentale. La chiamiamo limpia soltanto per seguire il filo conduttore del presente libro. Specificamente gli esperti e i praticanti parlano di “servigi di pulitura” (atenciones de “limpieza”) riferendosi non soltanto alla considerazione data all’àmbito corporeo della persona ma anche a quelli psichico e “spirituale”. Alcuni anni fa mi presentarono una guaritrice nella città di Valladolid (nella regione spagnola di Castilla y León) e decisi di andarci per sapere alcune cose sulla mia salute e sul mio benessere. Desideravo anche avere una visione generale di questi campi dalla prospettiva della sua formazione. La persona, educata e conoscitrice non solo del proprio terreno ma anche della pluralità di aspetti scientifici e storici della cultura convenzionale occidentali a proposito della salute e del benessere in senso lato, mi ricevette con calore umano soddisfacendo gran parte delle mie domande smaniose. Non entro in dettaglio sui fondamenti teorici della cura e sulla formazione e pratica di tale guaritrice. Nei Paesi occidentali la cosiddetta «New Age» ha tratto molti elementi provenienti da varie culture che si sono mescolati o associati in mille modi dando luogo a scuole e direttive di realizzazione varie e dalle policrome sfumature. La guaritrice lavorava mettendo in pratica il Reiki[45] tibetano e, da lì, collocando sopra il mio corpo alcuni sonagli tibetani che producono determinate note, procedette a rimettere in sesto il mio essere (corpo, mente e “spirito”). Devo riconoscere che mi sentì molto bene, come dopo aver ricevuto le cure degli etnomedici dello Stato messicano di Oaxaca. Ella mi spiegò che tramite il suono delle campanelle cercava di mettere in ordine i miei per così dire “campi di energia personali”. Forse ci riuscì davvero. Il fatto è che la mia predisposizione e l’esperienza mi sortirono un effetto positivo. In questo caso non ci furono invocazioni né partecipazione della divinità o di Esseri considerati superiori. Ella richiese comunque l’aiuto di entità spirituali prossime all’essere umano che, come costei mi spiegò, hanno la missione di aiutarci in ogni aspetto della nostra vita terrena. Io non percepii alcunché di tutto questo, però avvertii la buona volontà e la dedizione di questa donna nel processo di “pulitura e riarmonizzazione”. L’ambiente era gradevole, silenzioso, tranquillo. Tutto contribuì a generare un’esperienza percepita da me come positiva. 

Analisi. Per l’antropologo, il valore delle esperienze risiede nelle informazioni riferite dai detentori delle stesse. L’antropologo non analizza come lo scienziato positivo: quest’ultimo porta con sé il proprio metro di giudizio (scientifico) e, confrontando ciò che egli osserva con ciò che sa che era stato osservato (metodo incluso), trae conclusioni solitamente quantitative e di stratificazione in rapporto all’avvicina-mento o allontanamento da/di ciò che è stato osservato o misurato al/dal modello scientifico[46] di riferimento “normale”[47]. La pietra angolare del metodo antropologico è la OP (osservazione partecipante). E che cos’è la OP? Rispondendo con un’analogia, è “nuotare con i vestiti indosso”, cioè è implicarsi nel contesto (umano, fisico e culturale) studiato stabilendo una “distanza di sicurezza” che solo lui conosce e che sia capace di permettergli di avvicinarsi in modo comprensivo a ciò che viene studiato senza il rischio di rivisitarlo, di riformularlo; tenendo ben in chiaro che sono i membri di questo contesto che egli studia gli unici che possono spiegare ciò che fanno, ciò che dicono, ciò che creano o ciò che distruggono, così come il perché. L’antro-pologo, come l’etnografo, trasferisce agli ascoltatori le informazioni che è in grado di dare, fungendo da ponte culturale tra due contesti diversi, cercando di far arrivare il meno alterato possibile ciò che ha osservato, ascoltato e vissuto nei due rispettivi contesti. In molti casi, l’approvazione del contenuto da comunicare data da parte dei membri della società “X” è una cosa buona e svincola l’antropologo dal timore di averci infilato un apporto personale, falsando parzialmente la realtà osservata e studiata. Egli non dà importanza al fatto che qualcosa sia “migliore” o “peggiore” di un’altra. Non porta con sé alcun metro di giudizio per farlo. Semplicemente dice che esistono molte persone nel mondo e che tutte hanno i propri modi di vedere, di sentire, di riferire le cose. Tutto è, o può essere, valido, almeno nel proprio contesto di origine. E dobbiamo rispettarlo. L’antropologia come scienza dell’al-terità riconosce ciò che è differente; e, in questo caso, riconosce le diverse maniere che nel mondo esistono di vedere l’essere umano, di capire ciò che viene comunicato come “salute” e “benessere” e vari procedimenti di ripristino dell’equilibrio (che si chiamino “trattamenti”, “cure”, “approcci terapeutici”, ecc.) che esistono in alcune società e in altre. L’antropologo è, quindi, uno scienziato. Osserva, tocca, annusa, respira, ascolta, misura, analizza, medita, prende dati (prospettiva étic), intervista e riflette per fornire un “prodotto” (etnografia) che informi in profondità su un piccolo gruppo umano. Si interessa molto degli studi attinenti e fornisce alla scienza lavori coscienziosi di realtà ridotte senza la pretesa di creare paradigmi o norme, bensì piuttosto contenitori di conoscenza umana (socio–psico–bio–eco–culturale) profondi che possono servire ad altri studiosi come riferimento o motivo di obiezione o come guida nello studio di realtà analoghe. La guaritrice che mi assistette fece bene il proprio lavoro, seguì alla perfezione il proprio manuale. Era una persona onesta e seria. Dalla sua formazione ed esperienza mi valutò, giudicò ciò che vedeva in me e mi rivolse un’attenzione proporzionata a tale realtà. Si sforzò tenacemente di farmi capire (nel mio linguaggio scientifico) ciò che proveniva da un altro àmbito culturale. Tutto ciò creò un bagaglio esperienziale che mi fece sentire bene. In qualità di studioso, ottenni anche molte informazioni sui “dietro le quinte” di questa attività. Conobbi (ovviamente in modo parziale) un’altra maniera di curare l’essere umano e di come approcciarsi ai suoi malesseri, maniera distante da quella scientifica ma altrettanto valida (per principio) nel suo contesto (come la medicina occidentale convenzionale lo è nel proprio, già universalizzato e molto importante). La andai a trovare più volte per approfondire tali conoscenze, e riconobbi nella sua pratica aspetti simili (ma anche diversi) a quelli degli etnomedici dello Stato messicano di Oaxaca. La differenza più importante è l’assenza del coinvolgimento della divinità (almeno non come abbiamo menzionato nel caso dei guaritori mesoamericani); un’altra è che il lavoro e la vita non vengono condotti per timore del destino e della capricciosa intromissione delle Potenze superiori, generando una disfatta dell’esistenza.

Similitudini. Definizione di un mondo formato da qualcosa di più della materia; concezione dell’essere umano come una persona che sente e si costruisce anche con elementi aggiuntivi alla propria corporeità, inserito a sua volta in un contesto energetico ampio con cui egli è in relazione (consapevolmente o no). Gli esseri umani, nel corso della propria esistenza, si “insudiciano”, periodicamente, di un residuo naturale o mal gestito, di tipo somatico, sociale, culturale, emotivo ed energetico. Così come la limpia mesoamericana, le azioni di “pulitura” condotte da parte di alcuni sanatori occidentali hanno la complessa missione di sbloccare e ricondurre tutti gli àmbiti dell’essere al-l’equilibrio e all’operatività. Questo rappresenta, in sintesi, come costoro (indigeni mesoamericani e occidentali) intendono il benessere e la salute. Alcuni lavorano su tutte le dimensioni che costituiscono l’essere umano, ponendo fine (o cercando di farlo) al male, al vecchio, al non–valido, agli ostacoli, modificando e rimettendo in ordine le varie parti della persona con l’intento di portare alla rinascita —o, per lo meno, di favorirla— di un individuo finalmente rinnovato, ossia nuovo e sano."

[1] Temazcal di Tenango del Valle, Messico.

[2] Lingua autoctona del Messico centrale e centromeridionale. 

[3] A. J. Aparicio Mena, coautore.

[4] Esperienza inclusa nell’articolo personale: A.J. Aparicio Mena, “El temazcal en la cultura tradicional de salud y en la etnomedicina mesoamericana”, Rivista Gazeta de Antropología n.22. 2006.

[5] Cfr. J. Alcina Franch. 1999, Evolución social.

[6] Cfr. M. Eliade. 2001, op. cit.

[7] A. J. Aparicio Mena, coautore.

[8] Cfr. A.J. Aparicio Mena. 2009, op. cit.

[9] Riferendosi al Messico.

[10] Etnofarmacologicamente è l’arnica messicana (Hetherotheca inuloides). 

[11] Etnofarmacologicamente possibili in prevalenza sono: Atemisia absithium, Piper auritum, Chenopodium ambrosiodes e Mentha spp.

[12] Principio basilare e onnipresente nelle tradizioni amerindiane.

[13] Cfr. J. Chica C. 1998, Medicina indigena.

[14] Numero simbolico.

[15] La pratica del soffiare è comune nello sciamanesimo e nella cura tradizionale in tutta la Mesoamerica, tanto presso le culture originarie quanto in quelle meticce. Si soffia, polverizzando liquidi sopra il malato o intorno a lui. Nello Stato messicano di Oaxaca si usa il liquore mescal. Gli Spiritualisti Trinitari del Pacifico usano acqua, elaborata secondo loro dagli esseri superiori spirituali.

[16] Il numero 9 compare anche nella simbologia del temazcal zapoteco. È caratteristico dell’arte curativa popolare castigliano–leonina (i novendiali). Lo vediamo anche nella tradizione cristiana (le novene alla vergine Maria).

[17] Informatore etnomedico zapoteco (di San Huan Tabaá, nello Stato messicano di Oaxaca).

[18] Per altri etnobotanici è di specie chamaedryoides o caracasana o baccifera o urens.

[19] L.I. Zamorra, M.P. Barquín. 1997, art. cit.: p. 87.

[20] Con una lettura sincretica, si può dire che tali eventi fisiologici consistano in: stimolazione del sistema immunitario nonché della circolazione sanguinea locale, apporto attraverso la pelle di molecole vegetali antiossidanti, sblocco dell’intestino, rilassamento del sistema nervoso, riequilibrio della circolazione idrico–termica corporea generale.

[21] Allenamento dell’esperienza di uso durante parecchi anni.

[22] Il «mescal» è un liquore ottenuto dalla distillazione della parte centrale (il “cuore”) di alcune agavi, simile alla tequila.

[23] Etnografo di Santos Reyes Nopala (area chatina, nello Stato messicano di Oaxaca). 

[24] Botanicamente è Datura/Brugmansia sp.

[25] Numero simbolico.

[26] F. Di Ludovico, coautore.

[27] Cfr. R. Gubler. 1996, El papel del curandero y la medicina tradicional en Yucatán.

[28] Cfr. Á. Estrada. 1997, Vida de María Sabina, la sabia de los hongos.

[29] Funghi dai composti attivi psicodislettici (“allucinogeni”); botanicamente più frequenti sono Psilocybe spp., comunemente chiamati «nanacate» in Messico.

[30] Á. Estrada. 1997, op. cit.: p. 43. 

[31] «Ocupar» (utilizzare), dicono in Messico quelli come Don Erasto.

[32] Cfr. M. Trejo. 2004, Guía de seres fantásticos del México prehispánico.

[33] C. Schaefer. 2008, op. cit.: p. 133. 

[34] «“Santo Daime” significa “Sacra [erba], dammi”, e quindi ciò presuppone una chiamata per ricevere l’illuminazione divina e la capacità di guarire». M.A. Campos Freire, in: C. Schaefer. 2008, op. cit.

[35] Botanicamente è Lophophora williamsii; pianta appartenente alla famiglia delle Cactaceae, endemica del Messico, contenente alcaloidi psicoattivi come la mescalina.

[36] Nei propri contesti originari.

[37] C. Schaefer. 2008, op. cit.: p. 112.

[38] Multiplo del numero simbolico 7.

[39] Dopo aver passato ogni uovo, si versa in un bicchiere d’acqua e lì si vede se si deve continuare con la limpia–cura o no. 

[40] Cioè coloro che hanno contratto il susto.

[41] Cioè di aver contratto il susto.

[42] Intendiamo qui “calore” (“calentura”, in spagnolo americano) un problema anche di nosologia indigena poiché non solo fa riferimento ad un’alterazione termica del corpo (febbre) ma anche, come abbiamo già esposto, ad espressioni emotive, alla condotta e ad altre caratteristiche della persona e delle sue manifestazioni sociali correlate alla cultura locale e le tradizioni. A volte, anche quando si cagiona susto si causa “calore”.

[43] Le malattie da umidità implicano non solo manifestazioni fisiche (alterazioni e blocchi della circolazione, accumulo di tossicità, ecc.) ma anche psichiche, spirituali ed emotive caratterizzate da confusione e lentezza. E c’è una relazione diretta con l’ambiente circostante in cui si vive o si permane per un po’ di tempo: tali malattie si manifestano, infatti, in luoghi ricchi di acque, soprattutto se queste sono stagnanti o sudice.

[44] Il Diccionario de la medicina tradicional mexicana la definisce come “stato emotivo di fastidio che si ripercuote sulla salute di chi lo esperisce, e può essere causa di vari malanni”.

[45] Voce di origine giapponese che potremmo intendere come “atmosfera speciale” (etimologicamente “energia vitale spirituale”). I praticanti di tale disciplina cercano di aiutare a curare–riequilibrare una persona colpita (“malata”) tramite la canalizzazione delle “energie” cosmiche per mezzo della imposizione delle mani o la manipolazione dei campi energetici del paziente sconvolti, disordinati e alterati, così da ristabilirgli l’equilibrio integrale. 

[46] Ovviamente positivo per molte sue caratteristiche.

[47] Universale: potremmo dire “culturale”, antropologicamente parlando.