Alfonso J. Aparicio Mena
Francesco Di Ludovico
(Versión italiana del libro: The Limpia in the Mesoamerican ethnomedicines. Autores: Aparicio, A. & Di Ludovico F. Bubok Publishing. Se puede adquirir en: http://www.bubok.es/libros/223090/THE-LIMPIA-IN-THE-MESOAMERICAN-ETHNOMEDICINES)
(Texto protegido por copyright. Prohibida su reproducción. Cualquier cita debe llevar la referencia de autoría).
Traductor a lengua italiana: Francesco Di Ludovico.
LA LIMPIA NELLE ETNOMEDICINE MESOAMERICANE
Un avvicinamento antropologico ad uno dei procedimenti di
riequilibrio delle culture mesoamericane più antichi
DESCRIZIONE
OPERA
La limpia è un procedimento fisico–simbolico di riequilibrio,
utilizzato nelle etnomedicine mesoamericane e amerindiane. Proviene da epoche
antiche e mette la persona in relazione con se stessa e con i contesti in cui è
inserita (biologico, comunitario e religioso–spirituale). La conduzione di una limpia ha l’intento di ripristinare
l’armonia della persona con i suddetti àmbiti, rimuovendole quegli elementi
(fisici, sociali e mistici) che le causano il suo malessere o glielo
influenzano. Secondo il dizionario, «pulire» («limpiar», in castigliano) è «togliere la sporcizia o i difetti da
qualcosa». Quando ciò che si toglie è visibile, il risultato del pulire è un
fatto oggettivo; mentre quando l’alterazione, il difetto, il blocco presenti
nella persona sono “energetici”, la limpia
(la “pulitura”) diventa un atto di fede, un rituale fisico ad un passo dal
sacro. Dopo un divulgativo excursus sulla visione antica ed odierna,
“occidentale” ed “orientale” del concetto di malattia, benessere e salute, sull’approccio
terapeutico e sui costituenti dell’essere umano tra i quali quel quid in più (“spirituale–energetico”),
si delineano nel presente testo le peculiarità delle medicine tradizionali
della Mesoamerica, dando rilievo alla tecnica della limpia. Gli Autori ne riferiscono, infine, le proprie esperienze.
Introduzione
Il modo di intendere il benessere[1]
in ogni cultura o società si correla con i contenuti delle loro tradizioni. Le
etnie che in Mesoamerica[2]
hanno mantenuto un folclore originario o meticcio continuano a sviluppare le
proprie forme di prevenzione e di cura dei malanni.
Nelle società del passato, così come in
quelle presenti, gli esseri umani mettono (ed hanno messo) in pratica sistemi e
condotte per assecondare le necessità di salute[3].
Il cosiddetto «sciamanesimo» è stato (e lo è ancora) un insieme di credenze e
cosmovisioni basato sull’attività guaritrice magico–religiosa di un individuo
saggio, lo «sciamano»[4].
Jacques Brosse sintetizza che una delle finalità principali di questo particolare guaritore nella società era la cura dei
malanni[5].
Secondo la visione nosologica di molti popoli autoctoni, la malattia quasi mai
possiede una causa primariamente organica: essa la si ritiene, infatti,
provocata dall’inserimento di un “elemento nocivo” o dalla «perdita dell’anima»[6].
Pertanto lo sciamano avrà il duplice compito di estrarre il primo e di
recuperare la seconda. Mircea Eliade ribadisce che una delle missioni dello
sciamano (parlando degli sciamani delle varie culture del mondo) era di dare
coesione al gruppo, mettendolo al sicuro in ogni senso[7].
Lo studio interpretativo dei ricercatori Jean Clottes e David Lewis–Williams
sui disegni, pitture e sculture delle caverne del Paleolitico, ipotizza
l’esistenza di sciamani già nella preistoria[8].
Da ciò che si
conosce attraverso le fonti di documentazione (principalmente russe) studiate
da Mircea Eliade sullo sciamanesimo asiatico e nord–asiatico, questo sistema,
oltre che terapeutico, sarebbe un modo organizzativo dei gruppi e delle
comunità in periodi in cui le minacce esterne (naturali, “soprannaturali” e
umane) mettevano in pericolo non soltanto l’equilibrio e il benessere degli
individui ma anche la stabilità e l’integrità dei loro gruppi. Per Antony Tao,
dallo sciamanesimo cinese nacque una specializzazione ulteriore dedicata alla
cura, lo sciamanesimo curativo, a partire dal momento in cui le società
divennero stanziali (inizio del Neolitico, circa 10mila anni fa). Da questo
sciamanesimo sarebbe poi sorta la Medicina Tradizionale Cinese (MTC)[9].
Le analogie con gli sciamanesimi praticati in
altri Paesi, benché lontani, sono così evidenti che alcuni Autori parlano di
fenomeno peculiare della struttura mentale umana (perciò universale), o,
piuttosto, dichiarano l’esistenza di un medesimo luogo di origine. Da un punto
di vista strettamente antropologico, anziché difendere le universalità e i
paradigmi, difendiamo le particolarità e tutte quelle maniere che, provenienti
dalle culture, esistono per spiegare il mondo e le cose. Teniamo conto di quelli
universali come informazione. Consideriamo l’idea dello stesso luogo di origine
degli sciamanesimi se ci situiamo circa 180mila–200mila anni fa. Gli esseri
umani “nuovi” (cioè quelli da cui tutti noi proveniamo) già disposero forse di
una cultura originaria (nella quale includeremmo la struttura dello sciamanesimo
in tutta la sua complessità). Tale struttura culturale avrebbe trasferito la
base organizzativa sciamanica in tutto il mondo.
Mircea Eliade conclude che lo sciamanesimo è
un elemento basilare in tutte le tradizioni spirituali della Terra. Nel libro
«Cultura tradicional de salud y etnomedicina en Mesoamérica»[10]
spiego e analizzo abbondantemente questo antico fenomeno.
Fino all’arrivo degli europei in America, i
gruppi amerindiani disposero di modi di curare adattati alla propria forma di
pensare e alle proprie visioni del mondo. I cronisti delle Indie compilarono
resoconti sulle caratteristiche di tutto quel mondo in cui si imbattevano. E,
benché influenzati dalle proprie origini, la loro forma di pensare
europeo–cristiana e i condizionamenti che il potere religioso e politico
imponeva loro, costoro descrissero a parole tutta la maestosità di quelle
culture, come fece Fra Bernardino De Sahagún[11].
Nelle etnografie dell’epo-ca si parla di guaritori, di approcci medici e di
elementi per curare, cioè di tutta una organizzazione dell’arte terapeutica
locale.
Nei libri dei cronisti che parlano di
etnomedicina si dà principalmente risalto alle caratteristiche e agli elementi
relativi a mezzi curativi naturali (la maggior parte di origine vegetale, ma
anche minerale e animale). Quando Sahagún tratta di aspetti della medicina
azteca, parla di “medici buoni” (veri) e di “medici cattivi” (falsi); non
soltanto riferendosi alla responsabilità e ai princìpi, ma anche ai metodi di
lavoro e ai mezzi utilizzati. Egli suole associare il non–naturale a pratiche
di fattucchieria o a simboli culturali (religiosi) relazionati al calendario,
alla mantica, alle tradizioni locali etc.
Anna Reid scrive dello sciamanesimo siberiano
segnalando il suo lento recupero, come altri piccoli pezzi della cultura dei
popoli nord–asiatici dopo la fine dell’Impero sovietico. Sciamani ed etnomedici
siberiani soffrirono per l’avanzata verso est della Russia zarista; e risoffrirono
quando il sistema sovietico impose agli autoctoni siberiani un ordine basato su
una cultura materialistica su base produttiva[12].
Sistemi antichi come lo sciamanesimo, che
annoveravano non solo l’organizzazione della salute nelle comunità ma anche
altre organizzazioni più o meno “politiche” o “economiche” ma vincolate al-l’equilibrio
del mezzo e alle tradizioni, non combaciano con sistemi che sorsero molto dopo
come il capitalismo o il comunismo. Capitalismo e comunismo hanno un pilastro
comune nelle loro rispettive costruzioni comunicative: la scienza (intesa, da
un punto di vista antropologico, come obiettivo culturale della cosiddetta
“società occidentale”, e non come l’“obiettivo logico” cui tutta la
civilizzazione sarebbe presto o tardi arrivata benché priva dell’influenza di
quelle arrivate precedentemente). Per tale motivo, gli sciamanesimi e altri
sistemi organizzativo–culturali simili sono in serio pericolo di estinzione nel
mondo globale di taglio culturale e logistico occidentale convenzionale. Sono
stili di vita che non combaciano; e se si mantengono vivi è solo grazie alle
politiche di protezione e alle misure preventive che si legiferano nei vari
Paesi di appartenenza. In altri casi costituiscono minoranze così
“insignificanti” e isolate, che addirittura possono essere colti come obiettivi
esotici (ed economici) del turismo o di un certo tipo di turismo.
L’Europa occidentale, come è capitato in
altre parti del mondo, ha seguito il proprio cammino di evoluzione e progresso.
Ragioni socio–storiche e culturali hanno reso possibile l’avvento della
scienza. Antony Tao dice che i greci intendevano l’universo come un tutto regolato
da leggi che il pensiero era capace di decifrare e conoscere. Il chimico Albert Hofmann ci
ricorda che Nietzsche sosteneva che ciò che caratterizzava la mente greca sin
dalle sue origini era la coscienza scissa della realtà. La Grecia fu la culla
di una visione del mondo in cui l’Io si sentiva separato dall’ambiente esterno.
Qui, ben prima che in altre aree culturali, venne a formarsi il distacco tra
individuo e mondo. Questo dualismo, che il medico e scrittore tedesco Gottfried
Benn ha descritto come «destino nevrotico europeo», ha caratterizzato poi in
maniera determinante la storia intellettuale europea e a tutt’oggi svolge un
ruolo decisivo. Un Io che vede il mondo come esterno a sé, come oggetto, e questa
coscienza che fa della realtà un dato esterno furono il presupposto della
nascita delle scienze naturali occidentali. Già nelle prime opere del pensiero
scientifico, nelle teorie cosmologiche dei filosofi presocratici greci, era
all’opera questa visione oggettivante della realtà. La posizione dell’uomo difronte
alla natura, che rese possibile un forte dominio sulla stessa, fu poi formulata
chiaramente e fondata filosoficamente per la prima volta da Cartesio nel XVII
secolo. Da allora in Europa si è diffuso un tipo di indagine sulla natura
tendente all’oggettivazione e alla misurazione, che ha permesso di formulare le
leggi fisiche e chimiche della natura e delle sue forze. Da ciò è conseguito
l’attuale sviluppo mondiale della tecnologia e dell’industrializ-zazione in
quasi tutti gli aspetti dell’esistenza, offrendo a una parte del-l’umanità
insperati comodità e benessere. Tuttavia si dava inizio alla distruzione
dell’ambiente. Ancora più gravi di quelli materiali sono stati però i danni spirituali
dello sviluppo della visione materialistica del mondo. L’individuo ha perduto
il nesso con il fondamento spirituale e divino di tutti gli esseri. Non
protetto, insicuro e isolato, l’uomo ha cominciato ad affrontare da solo un
habitat esanime, materiale, caotico e minaccioso. Il germe di questa visione
dualistica della realtà era già stato gettato nell’antichità greca[13].
Dal dionisiaco àmbito estatico proviene la saggezza, intesa come la
conoscenza dell’arcano e dell’insondabile. Il saggio (“colui che sa”) non era,
infatti, lo scrittore erudito o il colto oratore; era piuttosto il
mago/sciamano, capace di volgere lo sguardo, illuminandola, alla oscurità del
mistero e delle “essenze” sottili. Grazie alla propria resa totale alla natura,
egli diveniva capace di scrutare l’ineffabile per poi riportarlo sulla Terra e
riuscire a narrarlo in termini umani. Dalla saggezza così concepita si originò
la filosofia: dalle “idee” e dalla poetica dell’incertezza platoniche
all’analisi critica e alla razionalità aristoteliche. Poi, tale “amore per la
sapienza”, una volta diventato pura elucubrazione dottrinale, si fuse
nell’iniziale pensiero religioso cristiano, senza che tuttavia questo rimanesse
scevro da influenze ermetiche o gnostiche[14].
A questa base culturale si unì l’apporto del cristianesimo che, come il
giudaismo, voleva un Dio trascendente, separato dalla natura. La Chiesa prese,
infatti, la tradizione biblica di una divinità creatrice demiurgica e maschile,
unica e distaccata dalle proprie creature, e perpetuò il concetto dualistico e
meccanicistico nato in seno alla filosofia ellenica; ripropose il modello
dicotomico e manicheo di Bene/Male e di Uomo/Divinità così come mente/materia,
Uomo/mente e Divinità/materia. Dato che uno dei princìpi fondamentali del dogmatico
e monoteistico cristianesimo è quello dell’imperscrutabilità della natura
divina, esaltando la sua trascendenza e negando la sua immanenza, è ovvio che
questa religione sia stata sin dall’inizio ostile ad ogni condizione estatica
non mediata da figure accademicamente religiose (sacerdoti). Il divino fu
dislocato in cielo e il panteismo esecrato, la natura proibita e la presunta pratica
magica stigmatizzata. Nelle culture europee, in un secondo tempo, la natura
rimase libera da vincoli e dipendenze spirituali, disposta ad essere studiata
da parte di un pensiero non mediato dalla Divinità; divenne oggetto di studio e
di meticolosa vivisezione. Nel Medioevo si ritornarono ad usare, sebbene
lentamente e con riserbo, mezzi e tecniche[15] che liberassero le forze occulte delle Potenze Superiori e che
riportassero sulla Terra la loro voce sublime[16].
Già nel Rinascimento si espresse e si saggiò tale tendenza. Successivamente
giunsero l’Illuminismo e poi la rivoluzione industriale. L’Europa divenne
potente. I gruppi dirigenti e i possessori del denaro allungarono l’occhio ad
altri luoghi del pianeta, come a suo tempo fece la Corona di Castiglia.
Trovarono persone diverse, che non parlavano come loro, che non pensavano come
loro, che non vedevano le cose come loro, che non intendevano le malattie come
loro e che non curavano come loro. Così come fecero gli spagnoli in America,
anche il resto dei Paesi europei impose alcune relazioni di potere alle nuove
società.
La scienza, come
parte della cultura europea, è stata presa come riferimento di progresso
(evoluzionismo). Una grande parte degli scienziati positivi ha considerato una
sola linea di avanzamento umano sulla Terra: la propria. Si sono viste le
persone di altri popoli come esseri in fase di sviluppo prescientifico,
tacciati come “selvaggi” —anche da parte di alcuni scienziati. Come in Europa,
specificamente in Grecia, agli inizi del cristianesimo, furono demoliti i
templi dei pagani Misteri (fra i più noti, quelli di Delfi ed Eleusi). Alcuni
secoli più tardi, nell’America appena scoperta gli stessi solleciti cristiani
distrussero i riti segreti degli aborigeni affinché terminassero quei culti che
davano accesso diretto all’anima e al sacro. Nel momento attuale si è creata
tra gli occidentali una coscienza di superiorità basata in tutte queste idee.
Roberto Fedeli, in un proprio excursus
sull’esperienza estatica mediata da piante psichedeliche espone egregiamente
che l’epistemo-logia insegna e la storia della scienza conferma che ogni volta
che l’uomo dirige il proprio sguardo in torno a sé, egli riesce a vedere solo
parti distaccate di un tutto indefinito; quelle che i filosofi chiamavano
“essenze” possiamo conoscerle soltanto grazie ad una resa totale alla vita e
alla natura. Il mito racconta che quando Dio cacciò gli esseri umani fuori dal
Paradiso, disse tuttavia loro che soggiogassero il mondo: e ciò essi potevano
farlo solo tramite la conoscenza dei meccanismi di funzionamento, ossia le
parti, dicendo addio alle essenze. Successivamente l’uomo apprese che alcune
parti dovevano essere connesse alle altre affinché si potesse arrivare a
qualcosa di benché non vero però sensato. E così, epoca dopo epoca, il sensato
ha sempre cambiato le proprie forme e caratteristiche. Thomas Kuhn ha parlato
di «paradigma», inteso come un sistema di valori condiviso che contribuisca a
dare senso e forma ad un insieme di dati ottenuti dall’os-servazione empirica.
Spesso càpita che si stabilisca una totale incomunicabilità tra i portavoce
delle contrastanti ipotesi, e che la comunità scientifica si ritrovi priva di
alcuni suoi elementi. I composti psicodislettici delle piante allucinogene, per
esempio, causarono penosa afflizione al metodo austero della scienza così
esperto in dissezione ma ignaro delle “essenze”. Si trattò del secondo grande
affronto del secolo XX dopo le “esoteriche” rivelazioni delle teorie
quantistiche che avevano cominciato a guardare al mistero e all’indefinibile[17].
La medicina si è resa scientifica e pertanto
è divenuta il modello da seguire. Tuttavia, antropologi come Malinowski, Franz
Boas o Clifford Geertz hanno dato importanza all’apporto originario dei membri
delle diverse culture. Per conoscere qualcuno non solo bisogna osservalo, ma
bisogna anche ascoltarlo. Per conoscere un’altra cultura, oltre ad osservarla e
ad analizzarla dal nostro punto di vista (che le è lontano) è necessario che ce
la spieghino i suoi protagonisti.
Medicine tradizionali amerindiane ed
asiatiche ci “dicono” che per capire ciò che succede ad un malato c’è bisogno
di permettergli di parlare del suo malessere e di come lo ha vissuto. Qualcosa
del genere affermava Edward Bach[18].
Di fatto, la raccolta anamnestica che uno sciamano o un curandero fa al paziente dà molta importanza al-l’aspetto psichico
dei suoi malanni benché riferiti come puramente fisici; tuttavia a volte questo
dialogo diventa difficile: i sintomi sono descritti vagamente o simbolicamente,
sono rari, stranamente acuti o incomprensibilmente cronici. In questi casi lo
sciamano sospetterà un’origine o una concausa “magica” della malattia. Sarà
dunque frequente che egli utilizzi l’ingestione di derivati di piante enteogene
(“allucinogene”) affinché, sotto una condizione di coscienza alterata, le
visioni “divine” (contemplazioni estatiche, interpretate come tali) gli
suggeriscano la causa della malattia o affinché nelle regioni “oltremondane” in
cui nel frattempo vive il suo spirito egli possa recuperare l’“anima persa” del
paziente. Questo tratto caratteristico deve essere interpretato secondo la
cosmovisione amerindiana e non secondo quella occidentale. Possiamo ribadire
l’importanza di tale esperienza mistica dell’unità (la unio mystica, che significa conoscere la Divinità e capire che è
monisticamente Una–e–Tutto), giacché potrebbe essere finalizzata alla cura di
un’umanità spiritualmente malata di una visione parziale e razionale–materialistica
del mondo. Dunque, il superamento della cosmovisione dualistica, insieme alla
“morte dell’Io” (cioè conoscere intimamente se stessi, il proprio spirito, e
capire il fatto di possedere una natura sacra), potrebbe costituire la base
della cura e del rinnovamento spirituale della cultura occidentale[19].
Ogni etnomedicina
occupa un particolare posto culturale. Due linee di progresso culturale non
convergeranno mai in tutto, naturalmente, a meno che vengano manipolate allo
scopo. La scienza nacque in Europa come un fatto proprio del cammino evolutivo
europeo. Però altri popoli (amerindi, asiatici, africani) non ebbero cultura
ellenica né cristianesimo né giudaismo né Rinascimento né Illuminismo francese.
E ciò non volle, né vuol, dire che valessero (o valgano) meno degli europei, o
degli occidentali. Si tratta di una chiara questione politica.
I Polo narrarono
meraviglie di progresso in Asia quando l’Europa ancora viveva in pieno Medioevo[20].
I cronisti delle Indie e altri uomini intelligenti e sensibili dell’epoca
rimasero stupefatti quando contemplarono la grandezza delle culture dei popoli
conquistati in America. Fu il colonialismo (parlando del colonialismo
occidentale in generale, non soltanto iberico) a rompere lo sviluppo
equilibrato dei popoli non occidentali. Fu tale colonialismo a modificare la
traiettoria delle linee di evoluzione socio–culturale non occidentali. Fu lo
stesso colonialismo a creare le differenze che generarono i “complessi di inferiorità”
su grande scala (fra i popoli sottomessi) potenziando al contempo gli ego
culturali dei colonizzatori. Il cosiddetto «Terzo Mondo» è un’espressione
coniata dalla cultura occidentale, dominante. È un’espressione di
stratificazione. Il Primo Mondo è il mondo ricco, e quindi superiore poiché ha
il potere e i soldi. Il secondo Mondo è un ibrido a sviluppo intermedio, “mal
seduto tra due sedie”. Il Terzo Mondo è quello dei “miserabili” (termine dalle
molte letture, a seconda di come ci si avvicina alla sua comprensione). La
povertà, le malattie, la fame e tutti i difetti di cui soffrono gli uomini, le
donne e i bambini di quello che è chiamato “Terzo Mondo” sorsero dopo che i
gruppi umani che in esso si sviluppavano dall’antichità, si videro invalidi e
sottomessi da parte di uomini venuti da lontano. Queste condizioni non si
devono, dunque, alle sue peculiarità socio–culturali, storiche e organizzative,
che sono diverse da quelle che portarono alla rivoluzione scientifica europea[21].
Nel momento attuale, in generale, si continua
ad “aiutare” il Terzo Mondo; è un “assistenzialismo” prestato tramite le
organizzazioni non governative (ONG), organizzazioni religiose e statali. Un
aiuto che, secondo molti membri delle etnie, è improduttivo, sterile e incapace
di regolarsi alla organizzazione autoctona di gruppi e persone. I membri di
quelle società desiderano che:
1) li si rispetti e li si tenga in considerazione;
2) se si offre loro aiuto, questo deve essere sostenuto, avvalorato e
gestito da parte delle loro organizzazioni locali;
3) gli specialisti sanitari occidentali e statali si uniscano agli
specialisti locali ed etnomedici. A volte dicono: «Arrivano i bianchi con le
loro idee, le loro medicine e il loro cibo per noi», e questo rimarca ancora di
più la differenza tra gli uni e gli altri.
Mapuches sudamericani, Maya del Chiapas o
Zapotechi, Mixe e Chatinos dello Stato messicano di Oaxaca desiderano poter
continuare il proprio sviluppo da parte delle proprie organizzazioni,
condividendo con il resto dei gruppi e con le proprie nazioni un progetto di
futuro in una società pluralistica, multiculturale ed in pace. Per molti è
simile la imposizione della forza, della legge straniera, dell’educazio-ne
nazionale, dei centri di salute statali e delle loro medicine. Su nessuno dei
gruppi locali hanno potuto contare per farlo. Non c’è stato un tavolo di
accordi. Costoro ritengono che tutto ciò che si faccia deve essere il risultato
di compromessi e di dialogo.
Quando gli amerindi soffrirono per la
destrutturazione delle proprie società a partire dal XV secolo; quando nuove
istituzioni imposero un ordine importato dall’Europa, cominciò il cammino di
decadenza dei gruppi originari, allontanati dai porti sicuri delle proprie
organizzazioni tradizionali. Passarono gli anni, passarono i secoli, in
America. L’unione amerindio–ispanica creò una nuova società, mista, meticcia,
confluenza di due distinte fonti umane e culturali. Questa società si sviluppò
nei nuclei urbani, forgiando un tipo di etnomedicina eclettica, ibrida (come la
possiamo trovare oggi al mercato di Sonora a Città del Messico). Tale cultura
di salute è già una tradizione ulteriore in America. D’altra parte, i gruppi
indigeni, alterati, seguirono il proprio sviluppo relativamente originario
nelle aree lontane dalla città, mantenendo con maggior o minor grado di
acculturazione i propri sistemi curativi. La conquista dell’America non solo
implicò la fine dello Stato azteco, a livello politico, sociale, organizzativo,
ideologico; implicò anche la fine della produzione culturale e il registro del
sapere direttamente legati alla vita quotidiana e alla tradizione nell’àmbito
naturale della vita e della quotidianità degli Aztechi. A partire da quel
momento verrà affidato al ricordo o se ne compilerà la memoria; si
registreranno nuove esperienze; il tutto dentro un contesto nuovo costituito da
dominati e dominatori. Questa situazione per gli indigeni inciderà nelle loro
esperienze di vita, marcate dalla necessità di accomodazione alle nuove
circostanze, dall’assimilazione delle stesse e dal timore permanente nei
confronti dei “signori bianchi”. Nelle zone appartate dei nuclei urbani, nelle
aree di difficile accesso, nelle campagne, le tradizioni antiche resistettero
in modo parziale. Favorite, involontariamente, dal proprio sistema religioso
cattolico, che, per com’era organizzato e strutturato, contribuì indirettamente
alla loro salvezza, esse giunsero per la maggior parte fino ai nostri giorni
tramite la parola trasmessa di generazione in generazione. L’invasione
castigliano–spagnola ebbe conseguenze molto negative per gli amerindi. Tuttavia,
l’arrivo degli europei nelle vergini terre americane, oltre a nefaste
conseguenze apportò il proprio contributo culturale e materiale a volte
positivo. Apprezzando, infatti, molti dei poteri terapeutici di minerali e di
piante endemici, i conquistatori più concilianti incoraggiarono l’uso degli
stessi. Pertanto, il processo di acculturazione se da una parte stigmatizzò
l’impiego di mezzi considerati diabolici da alcuni ispanici puritani,
dall’altra permise la permanenza dell’uso di molti altri che oggigiorno in
Messico godono delle stesse indicazioni che avevano nei tempi antichi, ed
esportò molti vegetali officinali iberici (come salvia, ruta, camomilla,
rosmarino).
Le arti curative nel Messico attuale sono, di
fatto, costituite dalla somma di concetti medici di Vecchio e Nuovo Mondo.
Esempio antropologicamente affascinante ne è il vasto armamentario, chiamato «parafernalia», che il guaritore (curandero) si porta con sé quando visita
un paziente e che egli, in preghiera, collocherà con ordine su una vivace
tovaglia: un insieme di erbe di campo, candele ed incensi, cristalli,
conchiglie, liquori di agave, immagini sacre di pagani virtuosi ed effigi
cristiane, profumi, olii ed acqua piovana, ventagli di palma, libretti di cura
ufficiali e altri di quelli degli avi, farfalle di carta e nastri colorati[22].
Il mondo in cui oggi viviamo presenta un
altro tipo di “colonialismo” (se lo si vuol chiamare così) caratterizzato dalla
sostituzione, sovrapposizione e spinta delle idee. La cultura occidentale (le
sue icone ideali e commerciali, la pubblicità, la musica etc.), attraverso il
fenomeno della globalizzazione e dell’internazionalizzazione, si mostra potente
e avanza dominante, imponendosi in ogni società, sovrapponendosi alle culture
locali, nel peggiore dei casi sostituendole o, nel migliore dei casi,
fondendosi con esse. Le medicine tradizionali sono medicine sorte in società e
culture con tratti propri e differenziati, usate con successo dai membri di
tali società.
Rappresentanti dell’antropologia medica come
Robert Hahn, Arthur Kleinmann, Peter Brown e Byron Good sono dell’idea che
salute e malattia non si possono separare dai loro concetti socioculturali; e
che i sistemi terapeutici, etnomedicine e modi di curare sono il risultato
dell’adeguamento alla attenzione a tali contesti. Quando parliamo di concetti
di salute o di malattia nella società mesoamericana, ci riferiamo a
rappresentazioni di questi fatti nella mente degli individui e nella loro
collettività. Non possiamo cadere nell’errore di applicare il nostro modo di
pensare e la nostra organizzazione di pensiero a persone che non solo sono a
noi (occidentali) distanti a livello culturale [23]
ma anche storico.
Riferendosi a quella azteca, Gonzalo Aguirre
Beltrán scrive che tale medicina, essenzialmente mistica, è stata qualificata
come superstiziosa da parte dei religiosi della Colonia e come prelogica dai
positivisti dell’inizio del ’900. Con l’intenzione di qualificarla, sia gli uni
sia gli altri hanno commesso razionalizzazioni spiegabili in soggetti che
giudicarono i meravigliosi fenomeni della cultura indigena, dall’àmbito delle
idee e valori della cultura occidentale; però non per questo stanno nel giusto.
Considerata la medicina da un punto di vista del proprio contesto, assecondava
la missione che la società nativa le aveva affidato, cioè diminuire l’ansia nel
proprio gruppo e offrirgli sicurezza e resistenza. Questo era il suo compito
specifico; il resto era puramente superfluo[24].
La occidentalizzazione del mondo è un fatto
palpabile. L’estensione della medicina occidental–scientifica fa sì che molti
problemi, comprensibili in un contesto culturale globale, possano essere
gestiti e risolti; non tutti però. Alterazioni come il «susto» o la «mapuche kutran»
(malattie da comprendere nel contesto sudamericano della vita mapuche), sono
sindromi di nosologia indigena. «Blocco del Qi
del Fegato–Cistifellea» è una sindrome definita nella MTC che non
necessariamente coincide con una malattia specificamente catalogata da parte
della scienza occidentale. Modi di cura come la «limpia», nella cultura amerindiana, accedono alla persona malata in
maniera diversa da come lo fanno le pillole di un farmaco registrato. In
entrambi i casi, il mezzo e il modo di cura si aggiustano al contesto
socioculturale del malato così come al modo di intendere la malattia (da parte
di lui e del medico), e al modo di sconfiggerla. Mezzi di trattamento come l’agopuntura
(della MTC) non sono capiti nella loro vera dimensione se sono studiati con
un’ottica diversa da quella del loro contesto originario. Giudicare
l’agopuntura attraverso un’altra visione culturale (per esempio quella
scientifica), implica necessariamente far paragoni. Se si considera che la
posizione di partenza dello studio, per esempio quella scientifica, è quella
“vera”, non comprendendo l’agopuntura come invece si conviene nel suo contesto
originario, si vedrà solo come una pratica di stimolazione della reazione di
difesa. Addirittura si potrebbero formulare giudizi qualificandola come
placebo. Si sarà scoperta una “nuova” agopuntura, diversa da quella del suo
contesto originario. E si sarà fatto un esercizio di autentico etnocentrismo. Seguendo
Geertz (1990, 1993), crediamo che abbiamo bisogno di avvicinarci all’oggetto
che di cui vogliamo parlare. Ciò implica necessariamente muoversi, “uscire dal
nostro centro”, conoscere l’oggetto nel suo luogo, ri–conoscerlo. È l’esercizio
basilare in antropologia; ed è un esercizio che l’antropologia invita a far mettere
in pratica da qualsiasi ricercatore (scientifico naturale o scientifico
sociale). Così capiremo che l’agopuntura o la limpia mesoamericana hanno significati rapportati ai rispettivi contesti
socio–storici e culturali.
La limpia
amerindiana ed altri procedimenti di etnomedicina significano qualcosa che
sta al di là della nostra proiezione significativa (esotica), fatta a partire dal
“nostro centro”. Se noi usciamo da lì, ci libereremo da una scomoda e antiquata
posizione statica di osservazione, così come dal giudizio etnocentrico,
inammissibile nei tempi che corrono per qualsiasi apprezzabile ricercatore,
divulgatore o comunicatore culturale–scientifico[25].
Le medicine tradizionali possono essere
praticate da sole o possono essere combinate tra di loro e con la medicina
scientifica. Può esserci collaborazione tra i professionisti delle une e delle
altre. Anche i sistemi terapeutici originari possono convertirsi in sistemi
interculturali quando coloro che li conoscono e li praticano li adattano alle
specifiche circostanze delle persone e dei loro problemi (relazione con il
naturale–biologico, il sociale e il culturale).
In futuro potremo avere: a) una grande
cultura mondiale con prestiti più o meno numerosi da parte delle altre culture
che essa ha incontrato durante il percorso, b) una società internazionale
multiculturale (con uno schietto dominio della cultura occidentale), c) una
società caratterizzata dalla interculturalità, d) una dinamica imprecisa
caratterizzata dalla variazione permanente del fatto culturale.
Nel frattempo, si praticano e si utilizzano
le etnomedicine tradizionali mesoamericane, superstiti e preservate oggi come
parte della cultura indigena da parte di istituzioni messicane; riconosciute da
leggi sulla salute in alcuni Stati (Morelos, Nuevo León), e con riconoscimenti
simili ad altri Stati (Oaxaca, Chiapas).
In Cina, in gran parte dell’Asia e in un
ingente numero di Paesi del mondo è utilizzata con successo la MTC; in India e
in Sri Lanka, la medicina ayurvedica. E in altre aree del pianeta continuano ad
essere ancor vive forme di cura perfettamente valide fuori e dentro ai propri
contesti; così come la medicina occidentale convenzionale (la più estesa della
Terra).
Come medicine interculturali (adattate da
parte dei professionisti ed etnomedici di distinti contesti socioculturali), la
più conosciuta ed estesa è la medicina cinese. Però la diffusione delle
conoscenze e la distribuzione nel mondo degli etnomedici originari stanno facendo
sì che si conoscano etnomedicine così antiche e importanti come quelle dei
gruppi indigeni messicani (uso del temazcal,
dell’erboristica e le limpias) o
sudamericani (erboristica, limpia
etc.)[26].
Il lavoro sulla limpia che esponiamo di seguito corrisponde a parte della ricerca
della tesi di dottorato del coautore A. J. Aparicio Mena[27],
realizzata in differenti luoghi degli Stati messicani di México e Oaxaca negli
anni 2004, 2005 e 2006. A tale lavoro si sono sommati gli apporti del coautore,
medico ricercatore italiano Francesco Di Ludovico, anch’egli conoscitore di
tali luoghi nonché dell’arte curativa erboristica delle etnie che vi abitano.
Visione simbolica della limpia. Artista: Álvar Aparicio Tejido.
Nella
Mesoamerica molte espressioni di alterazione, tra cui quelle del benessere e
della salute, sono interpretate come situazioni di squilibrio nell’àmbito del
mondo simbolico favorite da determinate condotte umane. Secondo gli autoctoni,
la limpia è il mezzo migliore per correggere queste
situazioni. Essa giunge a “tutte” le dimensioni della persona, poiché è capace
di sciogliere i suoi “blocchi” simbolici, emozionali e fisici. La limpia non si può separare dal contesto culturale
locale: soltanto in quest’ultimo, infatti, essa acquista il proprio
significato.
[1] Intendiamo qui «benessere» nel senso di “stato della persona nel quale
ella percepisce il buon funzionamento delle proprie attività somatica e
psichica”.
[2] Si definisce «Mesoamerica» la regione geografica di caratteristiche
storico–culturali simili, che si estende dalle zone centro–settentrionali del
Messico fino a quelle meridionali del Nicaragua.
[3] Consideriamo «salute» in senso ampio. Il suo ultimo significato dato
dall’Organizzazione Mondiale della Salute prevede non soltanto l’assenza di
malattia ma implica la presenza di un equilibrio tra le componenti somatiche e
psichiche della persona. Nelle etnie originarie o meticce, detentrici di
tradizioni mediche e di credenze ancestrali, la “salute” è qualcosa di
ulteriore; si tratta di un equilibrio dinamico tra componenti molteplici e di
funzioni opposte: corporee e mentali, ma anche spirituali e religiose nonché
naturali e soprannaturali, mistiche e sociali.
[4] Il termine «sciamano» (così come «shaman»
in inglese e analogamente in quasi tutti gli idiomi) deriva dalla lingua dei
Tungusi siberiani, presso i quali la parola «šamān» designava una persona capace di compiere viaggi spirituali
sotto uno stato di coscienza alterato, con il fine che egli/ella potesse
giungere in “mondi” non ordinari per intercedere con le Potenze Superiori a
beneficio della propria comunità. Interessante il suo etimo: di probabile
origine pali samana, con il
significato di “sacerdote”, possiede le arcaiche radici indoeuropee *sa– e *manu–, che danno come risultato semantico “uomo sapiente” (F. Di
Ludovico, A. J. Aparicio Mena. 2012. Le
piante degli dèi. L’uso sacro degli allucinogeni vegetali: p. 117).
[5] Cfr. J. Brosse. 2000, Mitologia degli alberi. Dall’Eden al legno
della croce.
[6] Parleremo poi di questa peculiare patogenesi di nosologia indigena.
[7] Cfr. M. Eliade. 2001, El chamanismo y las técnicas arcaicas del éxtasis.
[8] Cfr. J. Clottes, D. Lewis–Williams.
2001, Los chamanes de la
prehistoria.
[9] Cfr. A. Tao. 2003, Chamanisme et civilisation chinoise antique.
[10] A. J. Aparicio Mena. 2009. Cultura
Tradicional de Salud y Etnomedicina en Mesoamérica.
[11] Cfr. B. De Sahagún. 1994, Historia general de las cosas
de Nueva España.
[12] Cfr. A. Reid. 2003, El manto del chamán.
[13] A. Hofmann.
1993. I misteri di
Eleusi: pp. 10–11.
[14] F. Di Ludovico, A. J. Aparicio Mena. 2012, op. cit.: pp. 34–35.
[15] Uso di piante allucinogene (enteogene) per “vedere” gli dèi e ricevere
direttamente i loro messaggi, e della teurgia per carpire il potere divino;
ermetismo, cabala, occultismo. Da parte della critica religiosa, tutto questo
si annoverò nell’àm-bito della “magia”, insieme ad un misticismo più tollerato
da un punto di vista religioso.
[16] Cfr. F. Di Ludovico, A. J. Aparicio Mena. 2012, op. cit..
[17] Cfr. R. Fedeli. 1993, “L’anima riscoperta”; in: A. Hofmann, I misteri di Eleusi.
[18] Cfr. E. Bach. 1999, La curación
por las flores. Edward Bach era un medico inglese nato
nel XIX secolo ed è il padre della cosiddetta «floriterapia». Il suo metodo
curativo si avvaleva dell’“energia” derivata dall’alcolaturo di alcuni fiori, i
cui princìpi attivi vegetali erano presenti in quantità simil–omeopatiche, benché
si utilizzassero (come ancor oggi) in senso curativo allopatico: difatti, la
floriterapia è finalizzata a contrastare le cause psicosomatiche di alcune
malattie corporee, bloccando le “energie negative” originate dalla mente.
[19] Cfr. F. Di Ludovico, A. J. Aparicio Mena. 2012, op. cit.
[20] Cfr. M. Polo. 1984, Libro de las maravillas.
[21] Cfr. A. J. Aparicio Mena. 2007–a, Cultura tradicional de salud y Meso-américa. Del chamanismo arcaico a la etnomedicina.
[22] Cfr. F. Di Ludovico. 2009, Il
Giardino dei due mondi. Un viaggio nell’e-sperienza erboristica della
Mesoamerica e dell’Italia.
[23] Non parliamo di distanze qualitative ma soltanto di livelli diversi di
sviluppo.
[24] G. Aguirre Beltrán. 1963, Medicina y magia. El proceso de aculturación en la estructura colonial: p. 54.
[25] Cfr. A. J. Aparicio Mena.
2007–b, Etnomedicina en Mesoamérica Central.
[26] Cfr. A. J. Aparicio Mena. 2007–a,b, art. cit.
[27] Cultura tradicional de salud en Mesoamérica. Del
chamanismo arcaico a la etnomedicina. Universidad de
Salamanca, Spagna. 2007.